Metinvest in campo siderurgico è sicuramente l’azienda che meglio può raccontare il conflitto sia dal punto di vista umano che industriale; proprio per questo la partecipazione di Roberto Re, Head of Metinvest Europe, al webinar "Russia-Ucraina: rivoluzione per l'acciaio" è stata particolarmente significativa.
Il manager genovese ha voluto innanzitutto ringraziare i partner e siderurgici italiani che hanno supportato i numerosi progetti di sostegno al popolo ucraino. Progetti che sono stati la priorità di Metinvest sin dallo scoppio del conflitto con aiuti umanitari per centinaia di milioni di euro a cui si sono aggiunti infrastrutture per hub umanitari, dotazioni tecniche, oltre ad anticipare più di 1,2 miliardi di dollari di imposte per supportare il Governo ucraino.
«Lo scoppio del conflitto per noi è stato un vero e proprio Tsunami – ha spiegato Re –. Venivamo da un 2021 molto buono con un fatturato tra i 14 e i 15 miliardi di dollari, con un Ebitda che ha sfiorato il 47% a livello di gruppo e con tutte le associate europee che hanno fatto risultati a dir poco incredibili. Tutto questo è stato spazzato via e sembra passato quasi un secolo da allora. Oggi il nostro gruppo ha perso completamente il controllo dei propri siti produttivi a Mariupol con Azovstal completamente distrutta e non ci sono prospettive di ripresa a breve e Ilyich Steel che è sotto controllo russo. Vorrei confermare che la nostra volontà è quella di riportare Azovstal in funzione, anche se ci vorrà del tempo. Vorrei anche invitare chi ci segue a non acquistare il materiale che era pronto per essere spedito nei due siti; stiamo parlando di circa 400mila tonnellate di acciaio. Chiediamo a tutti di non fare acquisti incauti anche perché Metinvest ha già avviato una causa internazionale a questo proposito».
Un nuovo scenario che ha portato inevitabilmente il gruppo ucraino a ridurre e riorganizzare la propria struttura produttiva. Una riorganizzazione necessaria per permettere al gruppo di mantenere l’operatività necessaria a continuare a supportare anche le iniziative di solidarietà promosse.
«Oggi le società del gruppo che sono in attività sono quelle per la produzione e commercializzazione del minerale di ferro all’interno dell’Ucraina – precisa il manager – a cui si aggiungono le due acciaierie rimaste e tutti i nostri asset europei e la consociata negli Stati Uniti. Abbiamo cercato di riportare la produzione al 50% in Ucraina, ma da luglio alla luce delle grandi difficoltà logistiche abbiamo preferito tornare a ridurre la produzione. Nel frattempo, però, abbiamo riportato a pieno regime i vari stabilimenti europei, anche se ci siamo trovati a doverci trasformare in rilaminatori, ed acquistare sul mercato i semilavorati da trasformare che prima venivano dalle acciaierie principali del gruppo».
Re ha confermato la disruption sul mercato posta in essere dal materiale russo soggetto a sanzioni che è stato dirottato verso Paesi più disponibili ad accoglierlo, ma che poi torna in Europa sotto forma di prodotti finiti creando distorsioni sul mercato.
«Su questo fronte ci siamo mossi con l’Unione europea per sottolineare questo fenomeno, e devo ringraziare Eurofer e ArcelorMittal per il sostegno che ci hanno dato con le varie istituzioni».
«In sintesi – ha aggiunto –, abbiamo dovuto completamente ripensare il nostro modello di business e il sistema di certificazione dei nostri prodotti. Oggi acquistiamo il materiale dall’Asia, dal Far East, dal Brasile e dalla stessa Europa. Il tutto mantenendo nei confronti dei nostri clienti sia il livello quantitativo sia il mix di gamma che eravamo soliti offrire. Per il futuro il gruppo si sta ancora riorganizzando. Dobbiamo recuperare i 7 milioni di tonnellate persi a Mariupol di capacità produttiva, per il resto sicuramente l’Italia e l’Europa sono per noi dei mercati importati. Prima di poter operare delle scelte dovremo capire quale sarà la nostra configurazione finale al termine del conflitto».
Chiudendo sul 2022, Re ha detto che quanto accaduto sul mercato nell’anno in corso può essere etichettato come "eccezionale", contando anche l'effetto dirompente del lockdown cinese nei mesi primaverili
«Un effetto dirompente che ha creato pressioni all’import come non ne vedevamo da anni – conclude Re –. C’è inoltre da contare che anche in Cina i produttori in questa precisa fase hanno produzioni in perdita; da qui si capisce la decisione di Pechino di creare un colosso per l’acquisizione e la distribuzione di materia prima. Anche in Europa il livello di prezzo è insostenibile se rapportato ai costi di produzione, pertanto l’unica soluzione percorribile è quella di fermare l’output se si vuole recuperare marginalità. Uno stop che sarà evidente nel mese di agosto con le varie fermate produttive. Credo però che non rivedremo più escursioni di prezzo nell’ordine dei mille euro la tonnellata, ma il prezzo si riallineerà ai livelli di quel cambio strutturale visti a fine del 2020. Sul fronte del 2022, viste le premesse, sarei felice di riuscire a mantenere in cassa la metà di quanto guadagnato nel primo semestre dell’anno. Questo sarà dovuto all’impatto sul bilancio del materiale a magazzino prodotto ad alti costi. Sulle prospettive della domanda resto però ottimista».
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