Via col vento. E il trasporto marittimo rispiegò le vele sui mari del mondo (e sui container)- Corriere.it

2022-10-09 21:10:27 By : Ms. Anas Cui

Possiamo immaginarci la scena. Nel silenzio, all’orizzonte, dove le navi cargo, dei giganti da diverse tonnellate di stazza, sembrano danzare sulle note di un valzer viennese accarezzate dal vento. Una immagine da film felliniano o di Kusturica (a seconda dei gusti cinematografici). Ma non è solo fantasia. Basti pensare alla recentissima nave-cargo a vela in grado di trasportare fino a 7 mila automobili al suo interno. Si chiama “Wind Powered Car Carrier” ed è frutto di un progetto svedese. Ciò che più impressiona è la sua impronta ecologica, completamente ribaltata rispetto alle tradizionali navi-container: è in grado di ridurre del 90 per cento le emissioni inquinanti nel corso di una traversata atlantica. Il viaggio in termini di giorni di navigazione? Beh, ci sarebbe da riflettere. Quasi il doppio delle navi cargo tradizionali: 12 invece che 7.

Le spedizioni via mare sono il cuore del commercio mondiale, ma rilasciano troppa Co2 (oltre a consumare miliardi di ettolitri di idrocarburi). Si cercano sistemi alternativi per ridurre l’imponenteimpatto ambientale. Come il ritorno alla propulsione eolica, secoli dopo l’era d’oro dei commerci con velieri. Per la maggior parte degli armatori «il gioco non vale la candela», ma dalla ricerca arrivano risposte confortanti

Ma a vederla, con quelle vele alte fino ad 80 metri, la Wind Powered Car Carrier” è una di quelle imbarcazioni che incuriosirebbero non poco l’inglese Gavin Allwright, il quale ci crede e ci lavora da dieci anni, impegnato nel progettare il futuro green della navigazione: «Le navi-cargo possono inquinare meno viaggiando a vele spiegate», assicura. Un’idea che gli balenava nella testa da tempo. Da quel giorno e quell’anno in Giappone, l’11 marzo del 2011, quando un potentissimo tsunami distrusse la costa di Fukushima, dove viveva con moglie e tre figli, generando un terribile incidente alla centrale elettrica atomica (il peggior disastro nucleare dopo Chernobyl) e fece finire un peschereccio sul tetto dell’abitazione di sua suocera. Se ne tornò nella sua Inghilterra, ma il pensiero era fermo sempre là, al disastro giapponese.

La svedese Ocean Bird, presentata nel 2020: lunga 200 metri, 32 mila tonnellate, grazie alle sue vele telescopiche (alte fino a 105 metri sul mare) che si adattano alla forza del vento, dovrebbe essere in grado di viaggiare a una media di 10 nodi e attraversare l’Atlantico il 12 giorni

Le vele? Eterne protagoniste dei mari

«Non ce ne rendiamo conto ma sono le spedizioni, il cuore del commercio globale, la prima causa di emissioni di gas serra: peccato che armatori e persone predisposte alla regolamentazione dei viaggi su mare, facciano davvero poco o nulla in chiave di sostenibilità». E che fosse lui la persona giusta per provare a fare qualcosa, finalmente, lo si capiva dal fatto che negli anni precedenti, Allwright aveva focalizzato la sua attenzione su piccole navi da carico ad energia eolica. «Non dobbiamo pensare alle vele come ad una reliquia del passato: se hanno funzionato duecento anni fa, non vedo perché non debbano essere utilizzate oggi per diminuire la nostra impronta di carbonio» . Queste parole, ripetute spesso dall’inglese visionario, sono diventate negli anni la base su cui poggiare una idea di fondazione. Nel 2014 è nata la “International Windship Association”, una sorta di think tank intorno alla propulsione eolica sulle navi da carico. Ricercatori, professori universitari e rappresentanti di categoria hanno subito provato a far capire che una nuova rotta era possibile. (continua a leggere dopo i link )

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Se gli armatori remano contro

E subito, come ricorda lo stesso Allwright in un articolo apparso qualche giorno fa sul New York Times , non sono mancate le proteste degli imprenditori del mare, pronti a sbattere la porta ogni qualvolta si diceva loro di ridurre l’impronta di carbonio per favorire la propulsione eolica . Negli ultimi due anni, però, c’è stata una vera e propria inversione di tendenza da parte degli stessi armatori, i quali, fatti due conti (aumento del prezzo del petrolio e tasse sulle emissioni di carbonio) hanno optato per un carburante alternativo e meno costoso. Tutto questo ha rafforzato la visione di Allwright, la cui associazione è cresciuta a tal punto da inglobare quaranta aziende che sviluppano propulsione eolica, far navigare una quindicina di navi da carico a vela, altre cinque presto le seguiranno, e più o meno una ventina sono quelle che stanno per superare tutti i test prima del loro varo . Ma ciò che rischia di compromettere il sogno della navigazione dei cargo a vela è sempre il fattore economico: quanto costa installare le vele a bordo e se la spesa vale l’impresa. Di fatto, a guardare la nave Afros, dal 2018 a propulsione eolica, di proprietà di Costas Apodiakos, terza generazione di una famiglia di armatori greci, e che ha costituito una società a parte, Anemoi marine technologies, per la propulsione eolica, si direbbe che la cosa sia fattibile.

Gli speciali rotori a vento su una nave costruita dalla Anemoi Marine Technologies

Questa nave, in giro per i porti di tutto il mondo, è stata “ispezionata” in lungo e in largo dal nostro Allwright, il quale si è stupito alla vista di quattro colonne dipinte di bianco, i rotori, alti poco meno di sedici metri, che permettevano alla nave di alternare l’utilizzo del carburante alla modalità eolica, e azionati da quattro telecomandi gialli sui quali ci sono otto tasti: è da qui che parte il controllo dei carrelli che fanno scorrere i rotori lungo il ponte. Tutto molto bello, certo, ma ci sarebbe ancora tanto da lavorare sull’efficienza energetica dei rotori. Prendiamo, per esempio, i Flettner, in grado di risparmiare al massimo il 15 per cento rispetto al più classico carburante; mentre, sarebbe il doppio il risparmio se si utilizzassero delle vere e proprie vele impilate su alberi. Saremmo in presenza, insomma, di un vero e proprio “clipper” in versione 2.0, quelle navi a vela con tre o più alberi, utilizzate un paio di secoli fa per il trasporto delle merci.

La start up che non ti aspetti

Di sicuro, la fantasia in questo campo non manca. Così come sono sempre di più gli imprenditori, noleggiatori delle più celebri navi cargo in circolazione, coinvolti nel trasporto marittimo via col vento: la celebre multinazionale agroalimentare statunitense, Cargill, collabora con Bar Technologies, una start up di Portsmouth, in Inghilterra, specializzata nella progettazione di vele; inoltre, la stessa azienda statunitense si è impegnata a noleggiare, per i suoi traffici in ogni angolo del mondo, una ventina di cargo a vela nei prossimi due anni . La storia di Bar Technologies merita di essere raccontata a parte. Facendo un piccolo passo indietro. Fino al 2014, quando al velista olimpico Ben Ainslie venne in mente di far rivivere a Portsmouth, città della vela per eccellenza, i fasti del passato. Decise di progettare proprio qui una struttura in vetro e cemento all’interno della quale si potesse lavorare per realizzare delle vele vincenti per la prossima America’s Cup . E chi c’era come ingegnere capo in quel team di progettisti? Simon Schofield, il quale pensò bene, terminata l’avventura sportiva, di trasferire (di fatto, il team di Schofield occupò l’ultimo piano dell’edificio) l’intero background a propulsione eolica nel mondo delle navi-cargo. Nacque così la start up Bar Technologies, con le sue celebri “WindWings”, delle vele rigide alte trentasei metri.

Ecco i velieri del futuro: un cargo di oltre 210 tonnellate e con cinque vele, in un anno potrebbe risparmiare fino a due milioni e mezzo di dollari di carburante. çPresto una tassa di 100 o 150 dollari per tonnellata di anidride carbonica emessa dai cargo tradizionali

Un rendering del progetto «seawing» della Kawasaki Kisen Kaisha, membro della International windship association: un gigantesco kite, sviluppato dalla Airseas, che funge da vela per una nave container ; può ridurre le emissioni di CO2 del 20%

Ora, sembrerà un paradosso, ma i marinai moderni hanno dimenticato come si naviga in direzione del vento . E se le navi cargo scelgono la rotta più breve, ma non seguono più il vento, è pur vero che spegnete i motori tradizionali per sfruttare il vento, costituirebbe comunque un risparmio del carburante. Intanto, le prime tecnologie cargo dotate di vele “Windwings”, grazie alla sponsorizzazione di Cargill e dell’Unione europea saranno presto montate su una nave portarinfuse (sono dette così le navi usate per trasportare carichi non-liquidi) lunga quasi 230 metri . Il sistema velico sarà assemblato in Cina e montato entro la prossima estate. Il costo resta ancora l’unico vero problema. Ma secondo John Cooper, ad della start up Bar Technologies,un cargo di oltre 210 tonnellate e con cinque vele, in un anno potrebbe risparmiare fino a due milioni e mezzo di dollari di carburante.

Se l’Onu “sta a guardare”

Eh sì, “decarbonizzare” è un verbo talmente all’infinito da coinvolgere tutti gli attori della navigazione. Se pensiamo all’Organizzazione marittima internazionale (Imo), l’organismo delle Nazioni Unite, non è che si stia tanto da fare per far navigare in acque migliori le navi merci. Secondo una recente inchiesta del New York Times , l’Imo sarebbe in balia dei grossi gruppi industriali marittimi (dalla Cina al Giappone, dal Brasile all’India), abbastanza restii nel tentativo di ridurre le emissioni di Co2 in mare. Anche se Natasha Brown, portavoce dell’Organizzazione marittima internazionale, ricorda che, tra il 2023 e il 2030, entreranno nuove misure restrittive nei confronti degli armatori per quanto riguarda il consumo di Co2 . Si parla anche di una tassa di 100 o 150 dollari per tonnellata di anidride carbonica.

La lezione dell’America’s Cup

Ma si resta in generale sul vago riguardo alla possibilità di dedicarsi totalmente all’utilizzo di tecnologie alternative per le spedizioni via mare: basti pensare alla recente proposta della Camera internazionale di navigazione decisa nel non superare i 67 centesimi per tonnellata di carbonio. Ecco, forse la risposta più ottimistica per vedere navi cargo meno inquinanti sui nostri mari, è nella visionaria progettualità del team di Bar Technologies, secondo cui, soltanto quando le vecchie navi, tra venti, trent’anni al massimo, saranno demolite, potremmo vedere in navigazione navi completamente nuove e progettate, dallo scafo alla vela, in funzione del vento. In fondo, è anche questa la lezione dell’America’s Cup: dallo sport all’industria navale.