Trasportare merce dall’Asia sempre più caro e difficile - Tiscali Notizie

2022-10-09 11:02:35 By : Ms. EVA MAO

Non c’è posto. Se si vuole far arrivare merce dalle fabbriche del mondo, dalla Cina, dalla Malaysia, dal Vietnam o da un altro dei paesi dell’Asia orientale, non si può. Semplicemente non c’è posto. E se il posto si trova, i prezzi sono stratosferici e i tempi incerti, probabilmente lunghi, in alcuni casi lunghissimi. Così i porti asiatici straboccano di container affastellati l’uno sull’altro, mentre nei magazzini di industrie e grossisti europei e americani gli scaffali sono sempre più vuoti.

Un salasso. Dal primo di novembre alla fine di febbraio i prezzi per la spedizione di un container di 40 piedi dalla Cina ai porti dell’Europa del nord sono quasi quadruplicati passando da 2.200 a 8.300 dollari. Andamento simile anche per le rotte verso i porti mediterranei. Il tutto senza che si riescano a intravedere i segni di una possibile inversione di tendenza, almeno a breve, come testimonia il fatto che dopo il capodanno cinese, quest’anno il 12 febbraio, i prezzi siano ulteriormente aumentati invece di calare come sempre del 15-20%. La tendenza è confermata dall’ultimo rapporto di DHL sul traffico marittimo che per il mese di marzo prevede tariffe stabili o in aumento su tutte le rotte oceaniche verso l’Europa, non solo su quella dall’Asia orientale.

Il processo è una delle conseguenze di lungo termine dei lockdown della scorsa primavera e della conseguente brusca e drastica riduzione del commercio mondiale. Il successivo venir meno dei divieti ha avuto lo stesso effetto di una paratia che viene alzata, facendo riversare un’ondata di merci sui porti asiatici. Le banchine si sono riempite di container che aspettavano di essere imbarcati determinando una rapida crescita della domanda sulle rotte dalla Cina e dai paesi del sud-est asiatico verso i mercati europei e americani, il tutto a fronte di un’offerta di navi rimasta uguale. Risultato: i prezzi hanno cominciato a salire.

«Siamo passati da un crollo drammatico dei volumi di merci spedite a picchi mai visti e ora la quantità supera quella che i terminal possono gestire efficientemente» ha dichiarato al Financial Times John Butler, presidente del World Shipping Council. Butler ha poi ricordato come il rialzo dei prezzi non sia dovuto solo alla forte domanda, ma anche alla congestione dei porti che ha indotto le compagnie marittime ad applicare tariffe extra per i maggiori tempi di attesa.

Agli effetti dei lockdown si sono poi aggiunti quelli della seconda ondata della pandemia. Negli Stati Uniti, ad esempio, i porti sul Pacifico di Los Angeles/Long Beach e Oakland sono in difficoltà a causa dell’elevato numero di casi di Covid-19 tra portuali e trasportatori. Solo in California all’inizio di febbraio i positivi tra i portuali erano un migliaio, il 44% in più rispetto a gennaio. Meno braccia vogliono dire tempi più lunghi per carico e scarico e nel frattempo le navi devono fare la fila con attese che a Los Angeles/Long Beach sono ormai spesso di una settimana. A gennaio sono state contate fino a trentasei navi in attesa fuori dal porto della città californiana mentre prima di Natale erano in media una ventina. Essere costretti a mettersi in coda per giorni costa caro: nel suo rapporto DHL ha calcolato che una settimana di ritardo implica una perdita della capacità di trasporto sulla rotta del Pacifico del 7,6%. Un calo che ha un duplice effetto: da un lato porta le compagnie marittime a reagire aumentando le tariffe, dall’altro accresce lo squilibrio tra un’offerta già scarsa e una domanda stabilmente elevata con conseguente ulteriore aumento dei prezzi.

Non tutte le rotte però hanno subito aumenti come quelli che hanno colpito la tratta Asia-Europa. Quella Cina-America del Nord, la più movimentata del mondo con circa 25 milioni di TEU stimati per il 2020, non ha sperimentato la stessa crescita delle tariffe. Anzi, dopo un aumento considerevole a fine estate, dal 25 settembre fino a gennaio il prezzo è rimasto stabile e oggi, nonostante la crescita della seconda metà di febbraio, è al di sotto dei 5mila dollari, meno del doppio del prezzo di fine di luglio quando era a 2.700 dollari.

Il diverso andamento è frutto di due fattori. Il primo è che a ottobre il governo cinese ha chiesto alle compagnie marittime di contenere i prezzi applicati sulla rotta verso gli Stati Uniti, di gran lunga il suo primo partner commerciale, mentre sulla rotta europea i prezzi sono stati lasciati liberi di salire. Il secondo è che, per cercare di rimediare alle attese sempre più lunghe per entrare nei porti americani del Pacifico, quasi tutte le compagnie marittime hanno spostato navi dalla rotta Asia-Europa a quella verso gli Stati Uniti, così da mantenere un flusso abbastanza regolare. Nel secondo semestre 2020, ad esempio, Maersk ha aumentato la sua capacità sulla rotta transpacifica del 16%, HMM del 19% e MSC dell’81%. Lo spostamento ha contribuito da un lato ad assestare le tariffe sulla tratta Asia-Nord America e dall’altro ad aumentarle ulteriormente su quella verso l’Europa.

Tante merci, poche navi. A determinare il rialzo dei prezzi sarebbe quindi solo il normale gioco della domanda e dell’offerta. La velocità e le dimensioni del fenomeno, tuttavia, hanno fatto sorgere in molti il dubbio che le società di navigazione abbiano colto la palla al balzo e stiano approfittando della situazione per trarne indebiti vantaggi.

Lo scorso 4 gennaio in una lettera alla Direzione per la Concorrenza della Commissione Europea due associazioni di imprese europee di logistica e trasporto, la European Freight Forwarders Association e lo European Shippers’ Council, hanno lamentato comportamenti scorretti da parte dei grandi vettori oceanici: violazioni di contratti già siglati, imposizione di condizioni irragionevoli per la prenotazione e rialzo unilaterale dei prezzi. Le due associazioni hanno inoltre evidenziato come le società di navigazione si riservino il diritto di cambiare i prezzi concordati in precedenza quando e come ritengano necessario, spesso aggiungendo ogni genere di sovrapprezzi. Non solo, le compagnie marittime starebbero rifiutando trasporti prenotati ogni qual volta trovano clienti disposti a pagare di più.

Le accuse sono rigettate con forza dai grandi vettori. Soren Skou, a capo della Maersk, prima compagnia di trasporto container al mondo, ha ricordato al Financial Times come quella attuale sia «una situazione straordinaria per la quale prima hai un crollo drammatico della domanda e poi alla fine dell’anno tutta quella domanda ritorna. Le navi non diventano più grandi perché la domanda aumenta». Skou respinge l’ipotesi di manovre illecite dietro al rialzo delle tariffe: «L’impennata dei prezzi di trasporto attrae sempre l’attenzione delle autorità di regolazione. Ed è quello che è successo anche in questo caso. Negli ultimi cinque anni il settore è stato messo sotto indagine da tutti: Stati Uniti, UE, Cina, Russia. Non è venuta fuori nessuna prova di illecito o di comportamenti impropri».

Qualcosa sulle ragioni dell’uno o dell’altro lo dicono i bilanci del 2020 delle maggiori compagnie mondiali di navigazione. La danese Maersk ha registrato una crescita del 47% dei margini (ebitda) del comparto della navigazione oceanica, e più di un terzo del suo risultato 2020 è frutto dell’ultimo trimestre dell’anno. La tedesca Hapag Lloyd ha annunciato un margine (ebitda) del 2020 in crescita del 35% rispetto all’anno precedente e la sudcoreana HMM ha annunciato il suo massimo profitto di sempre. Non male per essere l’anno della pandemia e dei lockdown.

Come in un gioco di vasi comunicanti però, mentre i margini delle grandi società marittime crescono, quelli di molte imprese europee si riducono sempre più a causa sia dei maggiori costi che dei danni derivanti dai forti ritardi nelle consegne o addirittura dalla loro cancellazione. Per ora a essere colpiti sono stati soprattutto piccoli e medi produttori e commercianti, mentre le catene più importanti, in virtù delle grandi quantità di container movimentate, sono riuscite a gestire le difficoltà.

Frucom, che rappresenta i grossisti europei di frutta secca, ha riferito in una lettera alla Commissione Europea che a uno dei suoi associati sono stati chiesti 16.500 dollari per il trasporto di un container di 40 piedi. A novembre gliene avevano chiesti 2.150. Lorenzo Granata, proprietario di “Nano Bleu”, negozio di giocattoli del centro di Milano, ha ricordato al Financial Times come «vi sia meno disponibilità di prodotti, il che spiega la forte crescita dei costi […]. Le piattaforme e i negozi che riescono ad assicurarsi la disponibilità di prodotti introvabili possono chiedere il prezzo che vogliono». Un suo collega del Regno Unito, Gary Grant, fondatore dei negozi di giocattoli “The Entertainer”, sottolinea come i prezzi assurdi per il trasporto di container stiano avendo un impatto fortissimo. Grant di solito importa 50 container a settimana dall’Asia, ora ha accumulato un ritardo di 200 container perché si rifiuta di pagare costi che ritiene assurdi.

In alcuni casi non è solo questione di erosione dei margini, ma di mancate vendite che non potranno più essere recuperate. È quello che accade per i settori a forte stagionalità come i giocattoli, appunto, o la moda. Giacconi invernali che arrivano a fine stagione sono inutili, così come sono più difficili da piazzare le consegne di frutta secca teoricamente previste per dicembre, in tempo per la stagione natalizia, e giunte a febbraio.

Un esempio che rende bene l’idea del tipo di difficoltà che si trovano a dover affrontare le imprese è quello di Kenway Lam, che dirige Kizui Packaging Machinery Co, un’impresa di Hong Kong che costruisce macchinari per il packaging. In un’intervista a Bloomberg Lam paragona i tentativi di acquistare un posto per un container a quello che accade con i biglietti dei concerti: «È come tentare di comprare un biglietto per un concerto senza poter prenotare o comprare online. Quando è finalmente disponibile avrà improvvisamente un prezzo e o lo accetti oppure verrà dato a un altro». Lam aveva due container prenotati per una spedizione a un cliente in Uruguay, ma all’ultimo minuto gli è stato detto che non erano più disponibili. E come è accaduto a lui accade a tanti, che debbano spedire il loro carico a Los Angeles come ad Amburgo.

Le fabbriche del mondo producono a pieno ritmo, ma far arrivare beni e componenti sul mercato è sempre più difficile e costoso, soprattutto per le imprese europee. Aumenti di prezzo e ritardi stanno cominciando a mostrare i loro effetti non solo sul commercio al dettaglio, ma anche sui componenti destinati agli stabilimenti e quindi sulle catene di produzione. Gli stock si vanno assottigliando perché molti preferiscono aspettare nell’ipotesi che a breve i prezzi si riassesteranno. Speranze non confortate dalle stime di DHL e degli operatori del settore, Maersk ad esempio si aspetta per il 2021 una crescita della domanda tra il 3 e il 5%. Certo, l’attenuarsi della pandemia, previsto a partire dall’estate, potrebbe contribuire a invertire la tendenza nella seconda parte dell’anno grazie allo spostamento della spesa degli europei dai beni di consumo ai servizi e al calo dei volumi importati di guanti, mascherine, camici, e di tutte le altre merci legate al Covid-19. Ma al momento sono solo ipotesi e comunque gli effetti si avvertirebbero solo in autunno.

Se, come quindi probabile, la situazione non dovesse ritornare presto alla normalità gli effetti sui prezzi potrebbero trasmettersi ai consumatori mentre le catene di produzione della manifattura, soprattutto di quella tedesca e italiana, potrebbero entrare in sofferenza. Settori come l’elettronica e l’automotive stanno già sperimentando più di una difficoltà. Il tutto potrebbe avere una qualche conseguenza sulla crescita da un lato e sull’inflazione dall’altro. E in un periodo in cui tutto è complicato e, ondata dopo ondata di pandemia, il tanto atteso rimbalzo dell’economia tarda a manifestarsi, ipotizzare ulteriori attriti alla ripresa e un aumento dell’incertezza non è certo l’ideale.