Tornare più e più volte lungo lo stesso confine, esplorarne gli anfratti, i boschi, le case abbandonate, i posti di blocco, parlare con le persone che lo vivono e l’attraversano ti permette di capire un aspetto centrale della questione migratoria: al di là dei meccanismi securitari fatti di telecamere, filo spinato, recinzioni, armi e documenti, il confine è una cosa viva: palpita di vita attorno ai fuochi, nella boscaglia e nei campi, cambia, muta, si chiude e dilata, respinge e attira come le spire di un drago o il ventre materno. A volte a velocità per cui si fa fatica a percepirne il moto, per un eccesso di lentezza o di rapidità. Le righe che seguono vogliono tentare di descrivere questo cambiamento: cercare di comprendere le nuove dinamiche del fenomeno migratorio, particolarmente lungo la rotta tra Bihać e l’Italia.
La situazione è molto cambiata rispetto alla scorsa estate in Bosnia. Continua ad essere attraversato soprattutto l’ingresso orientale da Tuzla, dove diverse ONG operano per accogliere migranti e richiedenti asilo 1 . Arrivano dal confine serbo passando da Zvornik. Paiono comunque in calo gli arrivi dalla Serbia. I numeri sembrano ridotti, più in generale, per l’impermeabilità del confine greco-turco anche ‘grazie’ a Frontex e ai respingimenti in mare 2 .
Quelli che ora si trovano in Bosnia paiono gli sgoccioli dei dimenticati abbandonati in qualche angolo dei Balcani che risalgono dalla Grecia. Dato che entrare in Croazia da Sid (ovvero dalla Serbia) è più difficile rispetto agli altri ingressi possibili, per ora le rotte più attraversate sono quella serbo-rumena e serbo-ungherese, forse anche per la capacità dei trafficanti di ungere e oliarne gli ingranaggi.
Mentre la rotta bielorussa sembra esaurita, la pericolosità delle rotte via terra e di quelle via mare verso la Grecia e dalla Libia hanno ridato linfa a quella che dalla Turchia porta alle coste calabre con skipper ucraini 3 . Costa di più (10.000 euro circa) rispetto al viaggio via terra, ma pare avere più successo e una durata risibile rispetto ai migranti che da anni sono costretti a vivere in Turchia e nei Balcani senza riuscire a raggiungere l’Europa.
Bihać non è più un luogo di fermata e di attraversamento del confine, ma di passaggio. La jungle è quasi deserta, sembrano essere poche decine o al massimo qualche centinaio i POM (people on the move) irregolari dentro e nei dintorni della città. Inoltre, sembra che le montagne croate lungo la parte iniziale del vecchio game non siano più quasi presidiate a differenza delle nuove zone di maggiore passaggio.
Generalmente il transito delle “persone in cammino” è rapido, difficilmente si fermano più di qualche giorno nello stesso luogo. Il successo dell’impresa sembra molto più alto rispetto al passato. C’è da chiedersi se l’apparente scomparsa dei Pom dalla città di Bihać sia dovuta al fatto che effettivamente siano più bassi i numeri o se semplicemente è cambiata la funzione della città nelle strategie di attraversamento dei confini. Andando a ricercarne le cause, una di esse potrebbe essere individuata in una recrudescenza delle violenze tra gang che hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica bosniaca sulle persone in movimento a Bihać.
Lo scorso maggio ci sono stati alcuni conflitti a fuoco e ferimenti di cui, il più grave, è stato una sparatoria tra gruppi rivali in pieno giorno davanti a un parco giochi. Un uomo ha perso la vita, sembra durante un regolamento di conti per un episodio analogo accaduto due anni prima tra afghani e pakistani 4 . Da quel momento, in città si sono succeduti sgomberi quotidiani e massicci. Per questo e altri motivi, tantissime “persone in cammino” raccontano di non partire più da Bihać per il “game” ma da Velika Kladuša o, a volte, direttamente da Lipa o Sarajevo. Dopo 2-3 giorni nei boschi (a volte meno), i migranti che non vengono respinti arrivano nei dintorni di Zagabria e da lì cercano di avvicinarsi al confine sloveno prendendo bus e treni fino a Fiume e poi verso Trieste. Il costo a piedi è in media di 300 euro Velika-Zagabria, 1.500 euro in macchina.
Il game lungo della durata di due, tre settimane nei boschi croati non viene più tentato, ma è stato sostituito dal cosiddetto elegant game: le persone in cammino si ‘travestono’ da occidentali e da turisti in modo da non attirare l’attenzione e raggiungere le località interessate utilizzando taxi e mezzi pubblici.
Altre via di transito lungo il confine bosniaco-croato sono da Bosanska Gradiška (sopra Banja Luka) che prevede l’attraversamento di un fiume a volte utilizzando canotti gonfiabili comprati per pochi euro e da Drvar a Tenin attraverso i truck game, ovvero viaggiando aggrappati sul fondo dei camion e di mezzi pesanti.
Tuttavia, Bihać potrebbe tornare presto ad essere un luogo di transito importante spostando di nuovo il baricentro della rotta verso sud nella misura in cui dovesse nuovamente cambiare la politica croata dei respingimenti o per la scelta dei trafficanti di tornare su questa tratta perché di maggior successo rispetto a quella serbo-ungherese o serbo-rumena.
La gestione migratoria da parte della Croazia sembra essere notevolmente mutata. Tra i possibili motivi possono esserci la risonanza mediatica che alcuni episodi tragici hanno avuto nel recente passato (es. Madina Husein 5 ), la denuncia di pushback violenti da parte di diverse testate giornalistiche nazionali e internazionali e il prossimo ingresso della Croazia in area Schengen dal primo gennaio 2023 6 .
I respingimenti da parte della polizia croata ora sono più rari, pochi dei quali violenti. Sporadici i casi di furto, distruzione o incendio di oggetti. In genere non ci sono più segni di pestaggi violenti. Si vede ancora qualche osso rotto a causa di singole manganellate. Di tanto in tanto si scorge sulla pelle un morso di cane. Tuttavia, sembra che la polizia si ‘diverta’ nei viaggi di “riammissione attiva” sottoponendo i passeggeri a condizioni di ritorno sgradevoli (spesso si sentono male e convivono ore in mezzo al vomito) 7 . Questo ridisegna quasi completamente i bisogni delle persone che attraversano la Croazia e, di conseguenza, l’attività degli attivisti e dei volontari sul campo.
La grande novità rispetto allo scorso anno è che la polizia croata dà a moltissime persone in movimento un “foglio di via” della durata di sette giorni che permette il libero transito sul territorio e prevederebbe l’uscita dalla zona economica europea. Scrivo “prevederebbe” perché questo riconoscimento formale, di fatto, legalizza le persone che lo ricevono all’interno del paese. Questo ha causato un fenomeno nuovo in Croazia: i migranti non si nascondono più. Una delle zone più centrali di Zagabria di fronte alla stazione dei treni e alla statua di Re Tomislav è attraversata tutti i giorni da migranti specialmente nelle ore serali 8 . Alcune notti sono centinaia le persone che provano a dormire nei giardini antistanti la stazione. Sembra che un vecchio edificio abbandonato alle spalle della ferrovia sia luogo di sosta per alcuni di loro. Anche la creazione di squat è un evento nuovo a Zagabria.
Durante le procedure per il rilascio del documento sembra non vengano prese le impronte, ma la polizia scatta una foto segnaletica e fa firmare il foglio di via. Are you Syrious?, una ONG croata che si occupa di aiuto e assistenza ai richiedenti asilo, ha confermato quanto appena scritto: non prendono le impronte se decidi di non richiedere asilo: vengono schedati, ma non entrano in EURODAC 9 . Non è chiaro il criterio, apparentemente molto discrezionale, secondo cui rilasciano questo documento. Parlando con le “persone in movimento” sembra che, a volte, venga rilasciato soprattutto alle famiglie e prevalentemente in certe zone, come nella capitale. Questa nuova strategia è da comprendere meglio, specialmente le conseguenze che questo foglio potrebbe avere nell’eventuale risposta a un richiedente asilo in un paese europeo diverso da quello croato.
Secondo Are you Syrious? e il Centre of Peace Studies, altra organizzazione croata che si occupa di rifugiati e richiedenti asilo, questa ‘nuova’ politica dei fogli di via potrebbe essere una strategia temporanea della polizia per rendere visibili i migranti sul territorio nelle grandi città e nelle zone di confine in modo da far crescere il timore tra le persone e avere quindi una maggiore legittimazione rispetto all’uso della violenza nei respingimenti.
A chiedere asilo sono, prevalentemente, persone provenienti da Burundi, Afghanistan, Turchia, Russia, Iraq e Cuba. Soprattutto i cubani, non appena ottengono il visto lavorativo, però escono dal sistema di protezione per richiedenti asilo e si rendono spesso irrintracciabili 10 . Ci si potrebbe interrogare su quali strade prendano cubani e persone di origine africana dato che non sembrano seguire i canali più battuti che passano poi da Trieste e dalle sue piazze. Gli africani sembra cerchino di arrivare in Slovenia, chiedere protezione lì per poi muoversi in Italia via treno. Africani e cubani non arrivano con i soliti game in Italia, utilizzano altre rotte, altri contatti e percorsi (in un caso specifico documentato, il cugino cubano con la macchina spagnola è andato a prendere tre familiari in Bosnia).
Non è raro che la polizia utilizzi dei pretesti per prolungare la richiesta di asilo, per certe etnie più di altre (le persone di origine africana sembrano più discriminate, mentre i cubani sembrano essere più tollerati). Inoltre, vengono effettuati controlli anche da parte dei servizi di intelligence croati che, a loro volta, possono ostacolare l’ottenimento del permesso di asilo (sappiamo di almeno un caso in cui la richiesta è stata respinta per il semplice fatto che la persona fosse originaria di Raqqa). Un altro ordine di problemi deriva dal fatto che i servizi a volte utilizzino file secretati che non possono essere letti dai giudici nei primi gradi di giudizio e, quando ciò è stato possibile, in alcuni casi sono risultati vuoti. In altre parole: sono stati usati come prove per rifiutare richieste di asilo files risultati vuoti una volta aperti 11 .
Rispetto allo scorso anno al Borici, centro per famiglie all’interno della città di Bihać, ci sono anche minori non accompagnati ‘accolti’ in container dietro alla struttura principale. Di circa quattrocento ‘ospiti’, la metà sono cubani. È aumentata anche la presenza di persone di origine africana.
A Lipa ora sono presenti persone provenienti in particolare dal Burundi, India, Cuba, Mali, Ghana, Afganistan, Pakistan. Sono tornati gli africani come prima dell’ondata asiatica. Sono meno di trecento i ‘beneficiari’. Il tempo medio di permanenza è intorno ai sette giorni, questo genera un ricambio continuo. In generale, sembra che la situazione sia decorosa, non sono emerse particolari problematiche. Al momento sono operative solo due aree, pertanto si può dire che funziona discretamente perché è sottoutilizzato. Inoltre, rimane la logica di segregazione e isolamento dovuta alla scelta della posizione geografica del campo.
In uno dei due campi di Sarajevo, l’Usivak Temporary Reception Centre gli ‘ospiti’ ci hanno comunicato che l’igiene in alcune stanze è così precario da non essere abitate. La pulizia è assente o scarsa. Inoltre per raggiungere la città e i luoghi di interesse i migranti, vista la posizione isolata della struttura, sono costretti a un lungo giro o ad attraversare pericolosamente a piedi la ferrovia e una super strada.
A 5km a sud di Kljuc (1.30 h da Bihac), al confine del cantone Una Sana c’è il Velečevo Checkpoint usato dalla polizia per i pushback. Fermano tutti i pullman che transitano da lì, controllando i documenti ai passeggeri e facendo scendere quanti ne sono sprovvisti. Un operatore della Caritas ci ha detto che nel mese di luglio sono state fermate 1.200 persone.
È opinione comune che negli ultimi mesi ci siano state a Bihać più organizzazioni caritatevoli che migranti da aiutare. Molte di queste ONG o associazioni vivono di fondi e finanziamenti legati alla gestione di chi è entrato legalmente o illegalmente nel paese. Pertanto, alcuni rappresentanti di questi gruppi ‘sperano’ cinicamente in un ritorno delle persone in movimento dato che, direttamente e indirettamente, hanno portato ricchezza in un paese come la Bosnia dove lo stipendio medio è di 500 euro.
Purtroppo, spesso non c’è coordinamento tra le diverse organizzazioni che si occupano di sostenere i migranti fuori dai campi (outreach) perché, tendenzialmente, non interessa. Basta portare aiuti e, contemporaneamente, quantificare, schedare, contare, raccogliere dati che poi alcune delle ONG più grandi sono obbligate a condividere con l’SFA (Service for Foreigners’ Affairs) al fine, tra gli altri, eventualmente di deportare chi si sta ‘aiutando’.
Nel 2021 c’è stato un passaggio di consegne tra l’IOM (International Organization for Migration) e l’SFA nella gestione dei campi, ma non è stato positivo. Il trasferimento di competenze era necessario, ma ad oggi alcuni tra gli stessi operatori direttamente coinvolti nella gestione dei campi non lo trovano né funzionale, né funzionante.
La Croazia fino a pochi mesi fa faceva paura e questo ha costretto in tende o in casolari fatiscenti migliaia di persone anche per mesi o anni. Il problema maggiore, a livello fisico e psicologico, è nelle persone che sono state a lungo nei campi e negli squat. A non farcela non sono solo coloro che vengono trascinati via dalla corrente o cadono in un dirupo scappando dalla polizia croata, ma anche i tanti che lontani da una famiglia che non conoscono più, avendo il fallimento quotidiano davanti agli occhi e non scorgendo strade possibili si perdono nell’alcool, nelle pastiglie o diventando più o meno complici dei trafficanti.
Con l’ingresso della Croazia in area Schengen dal 1 gennaio 2023 i migranti avranno una frontiera in meno da attraversare e chi già presente in Croazia potrà più agevolmente raggiungere altri paesi europei. Questo forse ha fatto si che diminuisse la violenza della polizia, ma costringerà ad aumentare il controllo, probabilmente con un maggiore coinvolgimento nell’area da parte di Frontex.
A tutto questo si aggiungono le guerre, quella che c’è in Ucraina e quella che potrebbe venire. Dal punto di vista politico non sembra ci sia stato nessun progresso nel tessuto sociale e istituzionale bosniaco dalla fine della guerra: sono ancora i partiti nazionalisti a far da padroni, senza che riesca ad emergere una forza o un personaggio pubblico con l’autorevolezza necessaria ad unire un paese, la Bosnia, divisa costituzionalmente dalla fine della guerra.
Dal dicembre 2021 non tira una bella aria nell’ex Jugoslavia (prima la crisi dei ministri da parte della Repubblica serba, poi la crisi delle targhe tra Serbia e Kosovo con barricate per le strade e spari lungo il confine) 12 . Il 1 settembre scadrà la proroga per l’utilizzo delle targhe serbe in Kosovo e il 2 ottobre ci saranno nuove elezioni in Bosnia. Se si aggiunge l’interesse da parte di almeno un attore internazionale ad allargare il conflitto ad altre aree al di fuori dell’Ucraina, si può percepire che i venti nazionalisti stanno soffiando progressivamente con sempre maggiore forza. Il rischio è che, forse presto, diventeranno soffi di guerra.
L’Europa dovrebbe interessarsi maggiormente ai Balcani per scongiurare un conflitto che sembra montare. Per garantire a minori scappati dai Taleban e dalla povertà, con il coraggio e l’incoscienza degli adolescenti, di non rimanere incastrati in un nuovo Risiko alle porte d’Europa. Non se lo meritano, glielo dobbiamo.
Storie di solidarietà in Montenegro, tra nazionalismo e coraggio
Sono nato a Torino nel 1986. Filosofo, insegnante per scelta e scrittore di fiabe per diletto. Dal 2014 mi occupo di educazione libertaria teoricamente e praticamente, dando vita a esperienze educative informali. Dal 2021 iniziano i viaggi nei Balcani a studiare la rotta balcanica a stretto contatto con i migranti respinti. Sempre nel 2021 esce «Rott’amare. La feroce accoglienza europea nei Balcani» edito da OGzero.
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