Qual è la forma delle città dove viviamo? Come si è sviluppata? Rispondere a queste domande non è solo un esercizio accademico. Osservare un contesto urbano dal punto di vista formale, leggere la complessità delle relazioni tra edifici e tra parti della città significa capire dove siamo e, in ultima analisi, chi siamo. Per chi conosce la botanica un bosco è molto di più che una successione di foglie e rami, è un libro aperto e ricchissimo di storie. Con la serie Le città visibili, curata da Flavio Villani, vogliamo sfogliare qualche pagina del libro delle città. Siamo molte cose. Siamo anche quello che vediamo. Se non vediamo niente, è semplice: non siamo.
Dalla Cattedrale medievale ai mercanti di tabacco San Mungo è il santo protettore e leggendario fondatore della città di Glasgow. Tra le più antiche chiese della Scozia ancora in utilizzo, la cattedrale ad egli intitolata è un bellissimo esempio di architettura gotica del XII secolo. È anche rara nella sua sopravvivenza, dato che si tratta di una delle poche ad avere attraversato l’era della Riforma anglicana senza distruzioni e tetti scoperchiati. La chiesa è stata per secoli il centro pulsante della vita cittadina di Glasgow. Nel 1451 gli edifici del capitolo della diocesi ospitarono la fondazione della University of Glasgow, tra le più antiche del Regno Unito. Nel recinto della basilica si è svolta per oltre mezzo millennio l’annuale fiera della città. Nel 1801, però, la fiera fu spostata nell’area dei giardini di Bellahouston, sui confini occidentali della città e ben al di fuori dall’area inclusa nelle vecchie mura. E nel 1870 la grande università cittadina di trasferì nel West End in un monumentale complesso su una collina a fianco del corso del piccolo fiume Kelvin.
La piazza antistante la cattedrale è oggi un grazioso doppio filare di alberi su selciato, ma del tutto desolato. Pochi i frequentatori, per lo più turisti, e non vi si svolgono né cerimonie importanti né mercati cittadini o rionali. La cattedrale è stata perfino messa in ombra in altezza dalla prima modernità: il perimetro della piazza è chiuso verso nord dall’imponente sagoma post-vittoriana dell’ospedale medico-universitario del Royal Infirmary, costruito nel 1914. San Mungo è stata costruita per essere il centro di gravità di una città, ma poi se l’è vista sfuggire intorno: Glasgow aveva iniziato a muoversi verso il basso corso del fiume Clyde, lasciando il suo medioevo nell’oblio per inseguire la fortuna che arrivava dal mare. E ancor di più, dal suo fiume.
Il Clyde è un fiume di breve lunghezza, appena 170 km dalla sua formazione dall’unione di altri due corsi d’acqua fino alla foce nel golfo che battezza, il Firth of Clyde. Da questa insenatura, al centro della quale troneggia l’isola di Arran, si imbocca a sud la via per il Mar d’Irlanda, e a nord, oltre la penisola di Campbeltown, l’immensità del Nord Atlantico. Nonostante le dimensioni ridotte, è stato questo fiume il catalizzatore della storia della città, il trait d’union tra la città e l’oceano e della sua domanda di navi, che hanno fatto di Glasgow un centro mondiale della cantieristica navale. E prima ancora, un porto di importanza capitale nei commerci con il Nord America. Scendendo dal colle della cattedrale verso il centro, si imbocca la grande arteria Gallowgate e poi la Trongate. È la strada che da est accede al centro cittadino, delimitato su questo versante dalla massicciata della vecchia linea ferroviaria City Union, chiusa nel 1967 dopo 90 anni di attività assieme alla stazione di St. Enoch, oggi sostituita da un mega centro commerciale in cima alla centralissima Buchanan Street.
Trongate è una delle più antiche strade cittadine ed è stata a lungo il centro amministrativo della città, prima che questo si trasferisse nella grande George Square. All’incrocio con High Street, popolarmente noto come il Glasgow Cross, si trova uno dei monumenti iconici della città antica, la torre campanaria di Tollbooth, unico residuo di un edificio che dal 1626 al 1814 fu la sede del governo cittadino e poi ancora come tribunale e carcere fino alla sua demolizione, nel 1921. Fu intorno a questo incrocio ed in particolare nell’area a settentrione, che nel XVIII secolo sorse la Merchant City. Glasgow divenne il centro pulsante dei cosiddetti “Lord del Tabacco” una ricchissima classe di mercanti che monopolizzò per quasi un secolo il commercio di tabacco con le colonie del Nord America. L’area orientale dell’attuale centro cittadino vide la rapida scomparsa dei suoi stretti vicoli medievali, ed il sorgere di magazzini per la merce e mercati all’ingrosso, ma anche nuove e larghe strade, chiese e palazzi residenziali dei nuovi ricchi. Nel 1796, l’area settentrionale del quartiere vide anche il sorgere del primissimo nucleo della StrathClyde University. I Lord ebbero un ruolo pivotale anche nel futuro dell’industrializzazione cittadina, quando nel 1768 l’espandersi delle loro attività spinse il governo di Glasgow ad una estesa operazione di dragaggio del fiume Clyde per favorirne la navigazione.
Se le prime conquiste dell’Impero avevano fatto la ricchezza di questi mercanti, la sua prima mutilazione segnò anche la fine delle loro fortune. La Guerra di Indipendenza americana, e poi quella con la nuova nazione nel 1812, distrussero pressoché completamente il commercio di tabacco con l’altra sponda dell’Atlantico. Fu la prima caduta della storia moderna di Glasgow, e che si portò appresso anche la prima ondata di distruzione e rinascita. L’area di Merchant City si avviò rapidamente al declino, gli affollati magazzini e mercati di High Street e Tollcross finirono vuoti e demoliti. La vecchia classe dei mercanti spostò le proprie residenze verso la parte occidentale della città, dove investì il suo secolo di ricchezze accumulate in favolose residenze e nuovi palazzi, come testimonia tutt’oggi l’elegantissima Blythswood Square, sorta intorno al 1820.
C’era però un’altra ragione per la quale gli eredi dei mercanti settecenteschi volevano emanciparsi dalla vecchia Tollcross: volevano marcare la differenza di classe col nuovo proletariato urbano del vicino East End. All’inizio dell’Ottocento, gli investimenti degli ex -mercanti si mossero infatti verso le fabbriche e le ciminiere. A sud-ovest del centro, lungo il fiume Clyde, a partire dagli anni Trenta del XIX secolo il dragaggio dell’alveo favorì l’evoluzione dei vecchi bacini di riparazione dei galeoni nei primi cantieri navali. A est del centro sulla sponda settentrionale del fiume, nel cosiddetto East End, sorsero prima l’industria tessile, e poi l’indotto metallurgico e meccanico dei cantieri medesimi.
L’East End: Dennistoun Tornando indietro da Tollcross verso il colle di San Mungo, ci si inoltra nella triade delle strade che hanno fatto la Storia dell’East End: Alexandra Parade, Duke Street – la via urbana più lunga del Regno Unito – e la già menzionata Gallowgate. Il panorama assume rapidamente due tonalità dominanti: il rosso scuro dell’arenaria “povera” ed il bianco ingrigito di quella “ricca” della cave di Dumfries, le pietre gemelle con le quali vennero costruiti nel XIX secolo e al principio del XX i tenements, gli affollati condomini a tre-sei piani dove si riversò l’enorme massa di poveri venuti a cercare il riscatto negli opifici della città. Case pratiche ed economiche da costruire grazie all’abbondanza di materia prima, ma anche facili prede del clima umido e ventoso di Glasgow, nonché molto spesso sprovviste dei più elementari servizi igienici. Il tutto coronato dal sovraffollamento e dalla demografia dell’epoca: famiglie con quattro o cinque figli erano stipate in appartamenti da una o due stanze ciascuno.
In Duke Street invece arenaria ricca e povera si equivalgono e non a caso. L’area circostante fu protagonista del primo tentativo di rinnovamento urbano di Glasgow. Tra gli anni Sessanta e Novanta del XIX secolo, il banchiere Alexander Dennistoun acquistò i terreni agricoli della zona con l’intento di realizzare una città-giardino vittoriana dove anche la classe media potesse trasferirsi lontano dall’affollamento della città in espansione. Il sorgere delle aree industriali tenne gli acquirenti benestanti alla larga e il progetto rimase incompiuto, ma diede all’area l’unicità di essere un insediamento costruito per la borghesia e abitato da operai, tanto che al quartiere fu dato il nome del suo finanziatore, Dennistoun.
Dennistoun, 2021 – foto di Andrea Iannuzzi
L’East End: industria e classe operaia A sud della “borghese mancata” Duke Street, la Gallowgate costeggia le tre aree storicamente operaie e industriali dell’East End: Parkhead, Bridgeton e Calton, alle quali si aggiunge a cavallo dell’ansa del fiume Clyde quella di Dalmarnock. Calton e Bridgeton furono il nucleo più antico dell’industria Glaswegian. Il dragaggio del Clyde favorì il trasporto del cotone e quindi lo sviluppo, fin dal Settecento, di una fiorente manifattura tessile (come accaduto anche nell’Inghilterra settentrionale). Curiosamente è proprio l’industria più antica a essere l’unica della quale è rimasta la traccia più vistosa. Affacciato sulla grande distesa verde del Glasgow Green, il parco urbano più antico della città, si erge l’involucro della manifattura tappeti James Templeton. È un edificio elegante, ornato da finestre bifore e bordato da merli sulla sommità. Fu ultimato nel 1889 usando come fonte di ispirazione la facciata del Palazzo ducale di Venezia, un esempio di libero utilizzo di stili architettonici storici tipico dell’Ottocento. Una eleganza industriale macchiata però dal sangue: durante la costruzione, la facciata crollò su se stessa a causa di una tempesta di vento, sfondando il tetto di un opificio tessile vicino e uccidendo 29 operaie.
J. Templeton carpet factory, Bridgeton, 2015
Declinata l’industria tessile, i quattro quartieri divennero il cuore di quella metallurgica e meccanica, fortemente agganciata alla domanda di semilavorati dei cantieri navali. L’intera area settentrionale di Parkhead, nota come Camlachie, era occupata dalla grande acciaieria Beardmore & Co., che durante la Grande Guerra, grazie all’enorme richiesta di armi, giunse ad impiegare oltre ventimila persone. Dalmarnock era sede di un tubificio e dell’impianto del gigante dell’ingegneria meccanica Sir William Arol & Co, al quale si deve nientemeno che la struttura metallica del Tower Bridge londinese. In mezzo a tutto questo, una miriade di produzioni minori, dalla lavorazione del legno ai bulloni.
L’East End: il settarismo religioso Con le grandi fabbriche, venne la seconda ondata di migranti. Nella seconda metà dell’Ottocento, Calton e Parkhead attrassero un gran numero di immigrati irlandesi. Ancor più degli immigrati scozzesi dalle highlands, fuggiti dalla distruzione dei clan pastorali operata dagli inglesi, anche questa era una moltitudine disperata, in fuga dalla micidiale carestia che spopolò l’isola di smeraldo nel 1840-50. Fu infatti proprio a Calton, su iniziativa di un parroco cattolico, che nel 1887 nacque una piccola squadra di calcio, pensata per raccogliere fondi per gli orfani e trasformata in pochi anni nel Celtic Football Club. Solo cinque anni dopo, all’ombra dei camini dell’acciaieria della vicina Parkhead, sorse il primo embrione dello stadio dei Celtic, tutt’ora esistente.
L’arrivo di questo nuovo lumpenproletariat suscitò ben presto la rabbia degli immigrati dalle Highlands scozzesi per il sovraffollamento, la concorrenza al ribasso sui costi del lavoro e soprattutto per le differenze religiose tra le due comunità. All’alba del XX secolo, i risentimenti degenerarono in una guerra tra poveri, quando il settarismo religioso si intrecciò con le forti tensioni sociali provocate dalla prima recessione dell’industria cantieristica, scatenata dal venir meno delle commesse navali militari della Grande Guerra.
Negli anni Venti, nella zona di Bridgeton, nacque la gang protestante dei Billy Boys, capitanata da Billy Fullerton, che si rese protagonista di provocazioni e aggressioni nelle aree cattoliche di Calton e Parkhead. I Billy Boys divennero ben presto l’ala oltranzista dell’unionismo protestante al punto che Fullerton divenne uno dei membri di spicco delle Camicie Nere britanniche. I membri della sua gang vennero utilizzati in diverse occasioni da industriali e politici del governo cittadino come guardie armate per contrastare le attività sindacali e gli scioperi nei cantieri navali e nelle fabbriche cittadine. Il settarismo unionista protestante scatenò quello cattolico di risposta. Solo pochi metri separavano infatti Bridgeton dalle aree cattoliche di Calton e Parkhead, dove nacquero le gang dei Calton Tongs e Norman Conks, che alla fine degli anni Venti, assieme ai loro rivali, trasformarono le strade dell’East End in un campo di battaglia.
Con la Grande Depressione, la crisi dell’industria cittadina esplose nuovamente, esasperando il conflitto confessionale, che raggiunse il picco nel corso degli anni Trenta. Sul finire del decennio la violenza settaria fu momentaneamente sconfitta, grazie all’impegno del nuovo capo della polizia Percy Sillitoe, che escluse membri delle parti in lotta dai reclutamenti della polizia locale, fino ad allora sfacciatamente unionista e protestante. Ma ancora una volta fu la guerra a determinare i destini della città nel breve periodo: il sopraggiungere del secondo conflitto mondiale gonfiò nuovamente gli ordini di naviglio militare e mercantile, devastato dalle battaglie navali e dai sommergibili tedeschi. E svuotò le gang cittadine della loro manodopera con l’arruolamento nei fronti di guerra. La tensione tra cattolici e protestanti nel cuore della città era però solo sopita: sarebbe presto riaffiorata nel secondo dopoguerra trasferendosi in massa nei contrapposti hooliganism delle squadre di calcio di riferimento delle due comunità: i Celtic e i Rangers. La violenza degli anni Trenta e il degrado che l’aveva coltivata spinsero la Glasgow Corporation o GC – così era denominato il governo cittadino – a varare le prime iniziative di slum clearance, cioè di decongestionamento delle aree abitative, attraverso la demolizione dei rioni di tenements più datati e il trasferimento degli abitanti in quartieri di case popolari di nuova realizzazione. Tra Parkhead e Dalmarnock nacquero così i rioni di Lilybank e Barrowfield, con le loro povere case grigie e basse.
The Barras Le iniziative di pulizia urbana furono assai meno popolari quando si rivolsero contro i mercati di strada di Calton, considerati insalubri dalle autorità, ma parte integrante della vita dell’East End per i suoi abitanti, la cui resistenza donò alla città un altro grande protagonista del suo tessuto: i Barras. Nel 1926, Maggie McIver, figlia di un poliziotto e di una lucidatrice di mobili e storica affittuaria di cavalli e calessi per il trasporto delle merci, decise di aiutare i suoi clienti costruendo un capanno dove potessero vendere la merce una volta riportato il mezzo. Costretta a chiudere lo spazio due anni dopo, non rinunciò al suo proposito e nel 1934 inaugurò il mercato coperto di Barrowland, battezzato così dal termine barrow, carriola, il mezzo con cui i mercanti più umili vendevano le loro merci. L’apertura di questo edificio li salvò dalla rimozione forzata. Tutto attorno alla nuova costruzione, vecchi magazzini di industrie tessili ormai decadute affiancarono presto il mercato coperto. A guerra mondiale finita, l’area dei Barras, come è oggi soprannominata, era una vera e propria istituzione, sede del più popolare mercato di strada del fine settimana. L’edificio originario è stato distrutto da un incendio nel 1958. Ricostruito due anni dopo, è rinato con il doppio ruolo di mercato coperto e sala da ballo e poi da concerti. Vi si sono tenute performance live memorabili, come il concerto degli Smiths nel 1985 e quello di David Bowie nel 1997. Tutt’attorno, il mercato fine settimanale, che spazia dal dettaglio all’ingrosso di tessuti e mobili usati, è tutt’oggi l’istituzione più cara agli Eastenders.
I quali in effetti, per decenni non hanno avuto più molto altro da vantare. La grande acciaieria di Parkhead è scomparsa: chiusa nel 1976 e demolita negli anni Ottanta, i suoi spazi sono occupati da un gigantesco centro commerciale. Le basse case popolari di Lilybank e Barrowfield sono sparite sotto i bulldozer negli anni Novanta. Nei due decenni precedenti le due aree erano tra le più povere e degradate della città, devastate dalla violenza delle gang e dall’epidemia di eroina.
The Bruce Report Fu proprio nel tentativo di eliminare questa povertà che, nel secondo dopoguerra una buona fetta della città e delle sue case di arenaria fu eliminata. Il progetto di rinnovamento urbano fu siglato dall’ingegner Robert Bruce per la Glasgow Corporation nel 1945, insieme ai piani di ricostruzione delle aree devastate dai bombardamenti tedeschi. Un’iniziativa nata con le migliori intenzioni: liberare metà della popolazione di Glasgow ancora residente nei tenements ottocenteschi dal sovraffollamento e dal degrado. Ma che fu fin da subito viziata dalla cieca fiducia nel modernismo architettonico. Il piano originario prevedeva la distruzione completa di buona parte del centro e dei tenements, e di sostiuirli con grattacieli, torri di abitazione e autostrade urbane. Un mix di international style per il centro e modernismo socialista per le periferie.
La parte del piano che riguardava la demolizione del centro fu rigettata, anche se l’area fu accerchiata da una trafficata urban highways. Fu invece portata avanti l’iniziativa di de-congestionamento. In parte con la costruzione di new town esterne ai confini urbani sul modello londinese. E una seconda parte con la demolizione ben novantamila vani abitabili nei vecchi tenements e la ri-allocazione degli abitanti in cinque nuovi quartieri di case basse e grigie, noti come schemes, lontanissimi dal centro: Milton a Nord, Drumchapel a Nord-Ovest, Pollock a Sud, Castlemilk a Sud-Est e Easterhouse ad Est. Vi si aggiunsero altri complessi residenziali minori all’interno dei confini urbani, come Cranhill. Al posto delle aree residenziali demolite tra il 1951 ed il 1974 vennero edificati ben duecentoundici casermoni, che fecero di Glasgow l’area urbana col panorama più “sovietico” dell’Europa Occidentale.
Il piano fu gradualmente interrotto alla fine degli anni Settanta, per l’esaurimento dei fondi disponibili, ma soprattutto per l’evidente stato di degrado nel quale anche gli insediamenti più recenti iniziarono presto a sprofondare. Nel 1960-80, proprio durante l’esecuzione del piano, l’industria di Glasgow crollò travolta dalla crisi di massa dei cantieri navali. Gli abitanti degli schemes si ritrovarono a soffrire tassi di disoccupazione del 20-30%, abbandonati a loro stessi in aree lontanissime dal centro, prive di attività commerciali servizi pubblici, centri di aggregazione culturali ed educativi e persino mal collegati col resto del tessuto urbano.
Negli anni Ottanta i nomi di Drumchapel e Easterhouse divennero in tutta la Gran Bretagna sinonimo di street gangs, violenza, abuso di droga e alcool e famiglie disgregate. La popolazione iniziò ad abbandonare gli schemes, trasformando vaste aree dei quartieri in spettrali rioni fantasma ad appena un ventennio dalla loro realizzazione. Oggi Easterhouse è in fase di recupero e riqualificazione, ma buona parte del suo territorio è una desolata landa di fondamenta scoperte, con strade, lampioni e cancelli affacciati sul nulla, laddove le demolizioni hanno restituito il territorio alla brughiera.
Ma non tutto a Glasgow è vuoto e decadenza. Nelle decenni del suo boom industriale, nella parte ricca e colta della città nacque un’architettura elegante e scenica, sia nelle abitazioni private che negli edifici pubblici, che si può ancora ammirare.
MacKintosh e Thomson Al suo apice tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, Glasgow ha espresso due architetti di primissimo livello, Charles Rennie MacKintosh (1868 – 1928) e Alexander Thomson (1817 – 1875). La figura di MacKintosh è molto nota. Nato e cresciuto a Glasgow a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, ha lasciato alla sua città natale quattro edifici molto diversi tra loro, in perfetta linea con la sua poliedricità di creativo, che lo vide spaziare dal design alla pittura. La bianca sala da tè Willows in Sauchiehall Street è stata recentemente restaurata. Il popolarissimo Lighthouse, completato nel 1895, è un altissimo edificio di arenaria rossa attraversato da una lunga e spettacolare scala a chiocciola; in cima alla quale si accede ad una terrazza dalla quale si ammira il panorama forse più completo della città. Un tempo sede del quotidiano Glasgow Herald, oggi ospita mostre di architettura e design. Particolarmente sfortunata tra le realizzazioni di MacKintosh è la Glasgow School of Art, celebre per la sua arzigogolata facciata mista a grandi finestre, e vittima di ben due incendi nel 2014 e 2018. L’ultimo incendio, in particolar modo, è sopraggiunto appena conclusi i restauri e l’allargamento dell’edificio sul progetto di Steven Holl. Si attende tutt’ora il restauro definitivo di questo pezzo di storia.
L’architetto che ha lasciato più il segno nella città nei suoi anni d’oro è però Alexander Thomson, detto The Greek. Emigrato con la poverissima famiglia a Glasgow negli anni Venti dell’Ottocento e rimasto orfano, Thomson apprese la passione per l’architettura lavorando come segretario nello studio di John Baird, autore di quasi quaranta edifici nella città scozzese. Avendo trascorso la sua vita nel caos di Glasgow e nella sua oscurità fuligginosa, il giovane divenne un pioniere dell’architettura sostenibile e progettò edifici che lasciassero spazio ad aria e luce, senza troppe torce e carbone a renderli soffocanti come i tenements della città. La chiave di Thomson fu quella di mischiare la pietra locale con i motivi dell’architettura classica, che gli valse il soprannome “il greco”.
Thomson ha lasciato circa trenta realizzazioni di ogni tipo tra Glasgow e la Scozia occidentale. Gli edifici più celebri sono le grandi realizzazioni nel centro cittadino, come la chiesa di St. Vincent Street del 1855-57, un vero e proprio piccolo Partenone ateniese rialzato su un corpo di fabbrica rettangolare. L’edificio commerciale della Egyptian City Hall (1870-72) nella centrale Union Street, è invece l’ultimo dei suoi grandi progetti, e forse il più rivoluzionario per l’originalità. Quattro piani di vetrate separate da colonnati ognuno con capitelli di stile diverso, con quelle più grosse, solitamente riservate al piano terra, realizzate in forma nana per sostenere l’ultimo piano. E una mansarda in cima illuminata a sua volta da moderni lucernari inclinati. L’opera di Thomson non si esaurì neppure con la sua morte nel 1875. Proseguì con il grande studio gestito dai suoi figli, Thomson & Sandilands. Nel 1892, fu questo studio a ricevere l’appalto per il progetto del grande manicomio di Gartloch, situato ad est della città. Completato nel 1896 e utilizzato anche come sanatorio per malati di tubercolosi, è un esempio unico di eclettismo che mischia motivi locali e rinascimento francese. Abbandonato nel 1996, l’intero complesso è ora in fase di recupero come sobborgo di lusso.
Il declino di Glasgow nella seconda metà del Novecento non ha risparmiato nemmeno il centro cittadino e le realizzazioni dell’architetto scozzese. Se l’essere un luogo di culto ha salvato la chiesa di St Vincent Street ed il suo “Partenone”, recentemente restaurati, la Egyptian Hall è stata gradualmente abbandonata tra gli anni Ottanta e Novanta. Con l’eccezione del piano terra, recentemente rioccupato dai negozi, le volte del grande edificio ed i suoi finestroni sono una enorme facciata vuota e opaca. Si sono susseguiti piani di riutilizzo come alberghi e centri commerciali puntualmente andati a vuoto, inframezzati da restauri parziali da parte delle autorità. Nel maggio 2021, lo Scottish Civic trust, un’associazione volontaria di recupero edifici storici, ha preso in gestione la struttura e sta ora cercando di raccogliere i fondi necessari al suo salvataggio. La terza grande opera più nota di Thomson è la Chiesa di Caledonian Road, abbastanza simile come concezione a quella di St Vincent Street. Sconsacrata nel 1963, due anni dopo fu devastata da un incendio e in larga parte demolita. Oltre al campanile, del “Partenone” è sopravvissuto il colonnato, con i suoi stilobate e timpano. La sua nascita e rovina sono lo specchio dell’epopea dell’area che la circonda: Gorbals.
Gorbals Gorbals è situata letteralmente dirimpetto al centro cittadino, le due aree sono separate solo dal corso del Clyde: un colpo d’occhio di contrasti. Agli occhi di chi attraversa i pittoreschi ponti sul fiume per accedervi dal centro, il quartiere si presenta infatti come un eclettico e indecifrabile mix post-moderno. Hutchesontown, la porzione più orientale abbarbicata sull’ansa del Clyde, è un vivaio di gentrificazione urbanistica ultra-recente, inframezzata di basse maisonettes grigie e ancora sovrastata dal brutalismo di torri di abitazione degli anni Sessanta. Completa il profilo la ciminiera di una distilleria e il suo perenne pennacchio bianco.
Gorbals iniziò la sua ascesa fin da metà Ottocento, prima ancora di essere inglobata nell’area amministrativa di Glasgow, come centro nevralgico di comunicazioni ferroviarie e di commercio sul Clyde. Vi furono aperte le prime due stazioni ferroviarie della città, Bridge Street nel 1840 e South Side Station nel 1848, le cui linee collegarono Glasgow al suo hinterland meridionale di filatoi, miniere di carbone e fonderie. Tradeston, come suggerisce il nome, si sviluppò come giuntura commerciale tra i traffici sul Clyde e il ganglio ferroviario. Nella seconda metà del XIX secolo l’area vide lo sviluppo dei primi docks moderni, ma anche di industrie dedite alla trasformazione dei prodotti trasportati. Ingrossata anch’essa dall’emigrazione irlandese di metà Ottocento, Gorbals vide anche affluire una vasta comunità ebraica assieme a polacchi e lituani. Ancora una volta, una immigrazione di reietti, moltitudini umane in fuga dai pogrom antisemiti e dalle persecuzioni della Russia degli Zar. All’alba del Novecento questo angolo di città era sede di quasi tutta la popolazione ebraica in Scozia, come testimoniato da ben tre diverse sinagoghe allora presenti. Alla vigilia della Grande Guerra, al culmine del suo sviluppo, Gorbals era l’area residenziale sia dei lavoratori delle industrie a sud del Clyde che di quelli del settore dei servizi e del commercio del centro cittadino. Ma anche di industrie leggere tessili, alimentari e meccaniche. Vi si trovavano ben quindici scuole, altrettanti luoghi di culto, una sala da ballo, un bagno pubblico, una biblioteca e un grande teatro, demolito alla fine degli anni Settanta dopo un incendio e ricostruito un decennio dopo (Citizen Theatre).
Se parte di Gorbals era un quartiere di fiorente classe mercantile, l’affollamento dell’area, la povertà della classe operaia e delle sue abitazioni, precipitarono anche questa vibrante comunità nel degrado, soprattutto a partire dalle crisi economiche degli anni Venti. Già nel 1921 quasi la metà delle abitazioni del quartiere era bollata dall’autorità cittadina come “eccessivamente sovraffollata” e i criteri di valutazione dell’epoca erano certamente meno restrittivi di oggi. A differenza dell’East End, a Gorbals non vi erano segregazioni geografiche tra aree protestanti e cattoliche, ma questo non evitò il settarismo di quegli anni, complice il fatto che la migrazione irlandese che si stabilì nell’area era prevalentemente dell’Ulster. Gorbals vide però l’emergere soprattutto di una malavita di coltello puramente territoriale e di rione, in tutto e per tutto anticipatrice della violenza emersa negli housing schemes periferici nel secondo dopoguerra. Nessuna area come questa è stata più afflitta dallo sventramento post-bellico pianificato dal Bruce Report. Come in parte dell’East End, l’operazione di decongestionamento urbano iniziò già nei primi anni Trenta, con l’avvio della costruzione dello scheme di Pollok e proseguì negli anni Sessanta con l’edificazione di quello di Castlemilk.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, Hutchesontown fu rasa completamente al suolo e sostituita da parallelepipedi di cemento classificati con lettere dalla A alla E, comprensivi di scuole e un’area commerciale. I primi due a essere eretti furono i Queen Elizabeth Flats. Inaugurati nel 1965 alla presenza della regina, erano opera di una vera archistar brutalista del momento, Sir Basil Spence, già noto per la nuova Cattedrale di Coventry. I due edifici, popolarmente noti come Hutchie C, sono rimasti nell’immaginario collettivo di Glasgow per il loro profilo controluce, vagamente simile a quello di un galeone. Ma anche per essere stati i primi del genere demoliti con l’esplosivo, nel settembre 1993, a soli 28 anni dal loro completamento. Gorbals non fu infatti solo pioniera nella ricostruzione cittadina, ma anche del fallimento dell’operazione. L’area E, dove i nuovi palazzi furono realizzati in orizzontale, fu quella dove il materiale da costruzione scadente mutò il danno in farsa: appena 13 anni dopo la loro costruzione, nel 1981 gli edifici vennero evacuati in quanto affetti da seri problemi di muffa e umidità, e demoliti nel 1987. Rimangono in piedi solo sei torri, recentemente riqualificate. Tutto il resto è crollato sotto i colpi della dinamite. Gorbals vive oggi una rinascita galoppante, dovuta ai prezzi ancora accettabili degli immobili combinati con la vicinanza del centro cittadino.
The Glasgow Effect Dagli 85.000 abitanti del 1931, Gorbals era già scesa a 68.000 nel 1951 dopo la prima ondata di riallocazioni degli anni Trenta. Il Bruce Report e il declino urbano degli anni Settanta e Ottanta ha portato la popolazione ad appena 12.000 persone nel 2001, per poi registrare una ripresa. Il declino di questo quartiere è la metafora di quanto accaduto all’intera città. Dopo una crescita esplosiva durata oltre un secolo e mezzo, la popolazione di Glasgow si stabilizzò alla fine degli anni Venti intorno al milione e centomila abitanti. Rimase costante per una trentina di anni, per poi iniziare lentamente a calare. Negli anni Sessanta, l’inizio congiunto della crisi dei cantieri navali e degli spostamenti coatti di popolazione causarono un crollo demografico di quasi l’1% della popolazione ogni anno. Nel 2001, il primo censimento del nuovo millennio attribuiva a Glasgow 580.000 abitanti, un calo del 45% dal 1950. Solo nel 2004-05 la popolazione cittadina ha iniziato a risalire e con una rapidità anche maggiore nell’ultimo decennio, principalmente per l’emigrazione da fuori città sia di studenti sia di nuovi residenti stranieri, europei e non. Nel 2019, la città annoverava 628.000 residenti.
Anche se parte del declino è imputabile allo spostamento di popolazione, gli scienziati sociali hanno evidenziato come tra gli anni Settanta e Novanta, una parte significativa sia stata dovuta ad un aumento sbalorditivo della mortalità adulta. Calton, Dalmarnock e Bridgeton nell’East End, Gorbals e Govan nel Sud e le aree settentrionali di Springburn e Possilpark ancora a metà degli anni Novanta registravano un’aspettativa di vita alla nascita intorno ai 65 anni. I demografi e gli esperti di sanità pubblica lo hanno battezzato come “The Glasgow Effect”. Con questo termine, da molti criticato come uno stigma indiscriminato verso gli abitanti della metropoli, è stato riassunto un cocktail di coincidenze temporali, sociali ed economiche che ha fatto deflagrare la mortalità adulta tra gli anni Settanta e Novanta. Un de profundis che però non sarebbe solo il risultato della sua crisi industriale.
Glasgow, nel corso del secondo dopoguerra, ha paradossalmente subito le conseguenze di lungo periodo anche del suo successo. Un secolo di industrializzazione fatta di lavori usuranti, in manifatture pesanti e inquinanti, di sovraffollamento ed elevato consumo di alcool, hanno iniziato a scaricare la loro eredità sulla salute delle generazioni cresciute in questo contesto e divenute anziane. E proprio mentre la crisi economica cittadina e la sua politica di dispersione urbana stavano aumentando anche la mortalità giovanile per abuso di droga, suicidi e violenza. A questo si aggiunse la fuga fuori città dalle aree degradate della popolazione più istruita e in salute, che lasciò indietro quella meno fortunata. Assieme alle caratteristiche ambientali proprie della Scozia – poca luce e poca vitamina D – queste due fauci generazionali si chiusero sugli anni Ottanta. A soffrirne maggiormente furono i due gruppi più esposti al maggior numero di problematiche: i giovani degli schemes periferici e gli anziani spostati nei casermoni o rimasti nei tenements degradati. Ancora più impressionante, allora come oggi, è la disuguaglianza delle condizioni di salute tra queste aree ed i quartieri benestanti del West End, che alla fine del XIX Secolo si svilupparono con la fuga della vecchia borghesia mercantile e di quella nuova industriale dal centro cittadino. Ancora nel 2001, il censimento locale registrò che l’aspettativa di vita a Hyndland, Dowanhill e Partick era di quattro anni più alta per le donne e addirittura tra i dieci e dodici anni più alta di quella degli uomini rispetto a Calton e Bridgeton.
Il West End Il libro storico di pietra ed edifici di Glasgow rende assai tangibile dal punto di vista visivo questa immane distanza. In completo contrasto coi quartieri a ridosso del Clyde ad Est e Sud, il West End è un capolavoro urbanistico ottocentesco molto ben conservato e denso di edifici storici e splendide distese di verde. I suoi eleganti tenements a terrazza in arenaria bianca, alcuni dei quali a loro volta opera del “Greco”, in primavera sono un tripudio di colori per le fioriture dei loro giardini. Sulla Great Western Road, che collega il centro col West End, si affaccia il grande Giardino Botanico della città, nel quale si trova una grande ed elegante serra primo-vittoriana in metallo e vetro, il Kibble Palace. Realizzata nel 1873, è custode di una grande varietà di piante selvatiche e carnivore portate dagli esploratori dagli angoli del pianeta all’epoca dominati dall’Impero, opera oggi proseguita dai moderni botanici.
Usciti dai giardini si imbocca la trafficata Byres Road, la strada commerciale del West End, piena di negozi e ristoranti ed attorniata di tenements in arenaria bianca e granito e per la maggior parte restaurata, che scendono verso l’area più popolare di Partick. Byres Road è un centro di gravità cittadino alternativo al centro vero e proprio. L’area è oggi investita da un’ondata di studenti universitari, attratti dalle rette più basse della media britannica e dai prezzi ancora accettabili degli appartamenti, oltre che dalla vicinanza di un istituto prestigioso.
Su tutto il quartiere, in cima ad una collina, domina infatti il grande edificio della University of Glasgow. Ultimato nel 1870, è un enorme complesso neogotico, irto di guglie e torri dai tetti neri e sovrastato da un campanile, a metà tra una grande basilica ed un castello. Una costruzione talmente fiabesca da essere stato utilizzato come location visiva del castello di Hogwarts nella saga di Harry Potter. Ai piedi del colle, verso occidente, scorre il fiume Kelvin. L’immissario del Clyde è circondato da un lungo parco su entrambe le sue rive, alla fine del quale si incontrano la Galleria d’Arte Kelvingrove e di fronte la Kelvin Hall, elegantissimi edifici costruiti negli anni Venti al posto dei preesistenti complessi distrutti da incendi. L’Arena, fino al 2010 sede del Museo dei Trasporti, è anche centro sportivo e musicale.
University of Glasgow, South Kelvinside, 2016
Govan Per abbandonare da questo idillio e rituffarsi nella brutalità della storia urbanistica di Glasgow, è sufficiente una decina di minuti di metropolitana verso sud attraversando il Clyde e uscire quando la voce gracchiante annuncia le successive due fermate: Govan e Ibrox. Pochi passi fuori dallo scalo si incrocia il grande edificio rosso dello stadio dei Rangers. E poi, sia a nord che a sud del complesso, i segni inequivocabili di una città scomparsa: ettari di prati e selciato nudo segnano il sito di tenements e casermoni demoliti, come quelli di Iona Court, smantellati nel 2013. Subito ad occidente, un parco industriale recentemente inaugurato ha sostituito lo storico scheme di Moorey Park. Realizzato negli anni Trenta per decongestionare i tenements di Govan, non è poi sfuggito al fato analogo di Barrowfield e Lilybank nell’East End. A lungo stigmatizzato dalla stampa – secondo i vecchi residenti ingiustamente – come “Wine Alley” per l’elevata incidenza di problemi di alcolismo, è stato completamente raso al suolo nel 1995. Come Gorbals, anche Govan negli anni Settanta fu tagliata fuori dal sud della città dalla Statale M8, anche se il volume di demolizioni dei vecchi edifici fu largamente inferiore e concentrato nell’area orientale di Ibrox.
Paisley Road West. Ibrox, 2021 – foto di Andrea Iannuzzi
Su questa faglia di asfalto i numeri sono coerenti con la differenza del paesaggio. A sud della Statale, Bellahouston è un elegante sobborgo di casette a schiera e villette mono-bifamiliari, abbracciato a sud dalla rigogliosa foresta urbana del Pollok Country Park. Appena a nord dei ponticelli pedonali che la attraversano, il rettilineo della lunghissima Paisley Road è al contrario una fila a perdita d’occhio di tenements rossi per operai, anche se molti sono stati recentemente restaurati. Non mancano anche in questa area tentativi di gentrificazione. L’area tra Paisley Road e lo stadio, a lungo preda di abbandono e degrado, è oggi invasa da nuove costruzioni. Tornando a nord verso il fiume si imbocca Govan Road ed il suo paesaggio da primo Novecento fatto di tenements e storici edifici pubblici, come il cinema modernista Lycaeum. Costruito nel 1931 dopo che quello originario era stato distrutto da un incendio, è decorato con un enorme graffito raffigurante la platea e un cavaliere medievale che “buca” lo schermo con una lancia, ma appare scrostato ed eroso dal tempo. Uno stato coerente con gli interni: la sala cinematografica ha chiuso i battenti nel 1981, nel bel mezzo della crisi industriale del quartiere. Il piano terra è stato occupato a lungo da una sala bingo, a sua volta chiusa nel 2006.
Ascesa e decadenza dei cantieri navali Proseguendo verso est lungo Govan Road ed il fiume si incontra l’elegante Town Hall. Anch’essa progettata a fine Ottocento dallo studio Thomson & Sandilands, fu per breve tempo la sede del comune di Govan. Govan fu infatti annessa dalla municipalità di Glasgow solo nel 1912 dopo forti resistenze da parte dei suoi abitanti, che non volevano spartire con la metropoli il suo incredibile sviluppo industriale. Fu infatti a Govan che Glasgow vide la nascita ed il cuore della sua potenza cantieristica navale. Nel 1843, in un ancora rudimentale bacino, l’ingegnere Robert Napier vi costruì la Vanguard, il primo scafo metallico della storia del Clyde. Fu il primo nucleo di quello che poi sarebbe diventato il Fairfield Shipbuilding and Engineering, e di una saga industriale che entro il 1914 portò il lungofiume di Govan ad annoverare tre dei più importanti cantieri cittadini: oltre a quello già menzionato, anche Harland & Wolff e Alexander Stephens & Son. Non mancò l’iniziativa pubblica a sostegno dell’industrializzazione: tra il 1875 ed il 1895 la Clyde Navigation Trust, l’autorità pubblica della gestione del fiume, realizzò anche un triplo bacino di carenaggio per la riparazione del naviglio. Govan e Finnieston, dall’altra parte del fiume, a fine Ottocento videro inoltre lo spostamento nell’area dei docks portuali; vennero scavati e poi allagati grandi bacini di ormeggio per il carico e lo scarico di merci, come il grande Pacific Quay, aperto nel 1900.
Il peso storicamente raggiunto da Glasgow nella produzione navale mondiale è a tutt’oggi ineguagliato. Nel 1906, al picco della sua attività, il bacino del Clyde fabbricava da solo la metà del tonnellaggio mercantile navale dell’Impero britannico e circa un settimo del totale mondiale dell’epoca. Nel solo 1913, quasi duecento vascelli di ogni tipo e dimensione discesero le rampe di varo sul fiume. Ancora alla vigilia della Grande Depressione, nonostante l’espandersi della concorrenza internazionale, soprattutto statunitense, ben quindici cantieri erano attivi lungo il fiume. Alle commesse mercantili e civili si aggiungevano quelle militari. Dai cantieri del Clyde uscirono tra le più note unità impiegate dalla Royal Navy delle due guerre mondiali, come le corazzate Valiant e Renow. E anche diverse vittime eccellenti di quei conflitti, come l’incrociatore da battaglia Hood, scomparso tra i flutti dell’Atlantico con quasi tutto l’equipaggio nel maggio 1941 sotto i colpi della Bismarck.
L’enorme classe operaia di Glasgow fece della città un centro di militanza sindacale e politica socialista particolarmente combattiva, tanto da far nascere nella pubblicistica dell’epoca l’espressione “Red Clydeside”. Quando alla fine della Grande Guerra il venir meno degli ordini di corazzate assestò ai cantieri la prima grande crisi della loro storia, nel gennaio 1919 scioperi e manifestazioni paralizzarono completamente il bacino industriale e il centro cittadino. Anche le donne ebbero la loro parte, persino quando non lavoravano: mogli e famiglie degli operai scatenarono boicottaggi degli affitti per protestare contro il rincaro delle miserabili case dei tenements.
Nel clima teso della red scare post-1917, quando le proteste degenerarono in scontri con la polizia di fronte al municipio in George Square, a Londra si ritenne che Glasgow fosse un focolaio di rivoluzione bolscevica e venne deciso l’intervento dell’esercito. Al di fuori del conflitto nord-irlandese, si trattò della prima e unica volta nella storia del Regno Unito che si videro carri armati per le strade di un centro abitato. Una risposta a dir poco sproporzionata, dato che i militari si palesarono a disordini conclusi. Anche se gli scioperi del ’19 e quelli successivi del ’26 non raggiunsero i loro obiettivi, Glasgow divenne un centro propulsore dell’emergente Partito Laburista nel panorama politico britannico. La Grande Depressione segnò la fine dell’espansione della cantieristica di Glasgow e provocò le prime chiusure di alcuni cantieri. L’industria fu risollevata dalle commesse militari della Seconda Guerra Mondiale, ed ebbe un’ultima breve stagione di fortune coincidenti col boom economico post-bellico.
Ma a partire dalla fine degli anni Cinquanta, proprio mentre il resto d’Europa e del Regno Unito vivevano i fasti del miracolo economico post-ricostruzione, i cantieri del Clyde iniziarono a crollare di fronte alla concorrenza di quelli europei, alla quale si aggiunsero poi quelle giapponese e sudcoreana negli anni Sessanta e Settanta. Il resto lo fece l’innovazione tecnologica e il cambiamento dei mercati: l’arrivo del commercio globale e la relativa domanda di grandi petroliere e portacontainer non poteva essere soddisfatto dai cantieri del Clyde, troppo piccoli per questo tipo di vascelli e ormai anche antiquati sotto il profilo tecnico. Altri quattro cantieri chiusero i battenti nel corso degli anni Sessanta, ma il crollo era tutt’altro che concluso.
1971 Work-in strike; Riverside Museum, Partick, 2016
Nel 1971, la crisi industriale del Clyde si intrecciò alle grandi passioni politiche di quel periodo e attirò per alcuni mesi l’attenzione del grande pubblico. I battaglieri sindacati del Clyde reagirono alla paventata chiusura di altri impianti con uno sciopero del tutto particolare: invece di incrociare le braccia, centinaia di operai dei cinque cantieri di Govan e Scotstoun si recarono al lavoro regolarmente ignorando le lettere di licenziamento. Fu il cosiddetto Work-in Strike, che attrasse simpatie in tutta Europa, e vide musicisti come The Dubliners, Joan Baez e Donovan recarsi a Glasgow e organizzare concerti a sostegno dei lavoratori in sciopero. Il Work-in-Strike convinse il governo di Londra a intervenire finanziariamente per salvare sei dei nove cantieri rimasti, aggregandoli in due conglomerati, ma la crisi proseguì, costringendo l’esecutivo laburista di Callaghan a nazionalizzare l’industria nel 1977, escludendo però altri due impianti dal salvataggio. Quella che era stata la cantieristica più importante del mondo, si spense a piccoli pezzi, come una pianta malata.
Fairfield shipyard direction building, Govan, 2015
Oggi, l’ex Fairfield è l’unico grande sopravvissuto della Govan industriale di allora. È anche uno dei soli due rimasti in città assieme a quello di Scotstoun, sulla sponda settentrionale. Ri-privatizzati nel 1988 e pesantemente ridimensionati sul fronte occupazionale e produttivo, sono infine stati acquisiti nel 1999 dal conglomerato industrial-militare BAE System, per il quale costruiscono esclusivamente navi militari per la marina britannica o destinate all’esportazione. Assieme a parte dei suoi impianti, nel 2001 Fairfield ha visto la dismissione dell’enorme edificio della vecchia direzione del cantiere, che si estende su tutto il perimetro meridionale del complesso lungo Govan Road. La parte prossima all’ingresso del cantiere è oggi il Fairfield Heritage Center, un’esposizione tesa a preservare la memoria storica della working class di Govan e della sua industria. A partire dal 2013 buona parte del resto del complesso è stata adibita ad uffici, ma l’estremità occidentale è tutt’ora abbandonata, con le sue monumentali finestre tappate con pannelli di compensato. Risalendo il fiume, nella opposta direzione, il secondo cimelio ad apparire lungo Govan Road è l’antico bacino di carenaggio dell’Autorità fluviale, chiuso definitivamente nel 1987. A parte i tre specchi d’acqua artificiali, quasi tutti gli edifici dell’impianto sono stati demoliti e l’area giace completamente abbandonata e divorata da erbacce e spazzatura.
Sul suo destino è in corso da anni un serrato dibattito sull’opportunità o meno di farne l’ennesima area di ricostruzione. Il confronto con l’area circostante infatti non potrebbe essere più stridente: il limite settentrionale del bacino derelitto coincide con l’ingresso del Pacific Quay. I vecchi docks infatti, a loro volta crollati negli anni Sessanta e Settanta sotto il peso dell’avvento dei container, sono al contrario l’avanguardia dell’operazione di riqualificazione cittadina.
@Andrea Iannuzzi Govan Drydock, Govan, 2021
La rinascita di Glasgow? Negli anni Novanta le sponde del fiume sono divenute il centro del rilancio economico di Glasgow e di conseguenza anche del restyling del paesaggio della città. Nel 2001 l’amministrazione comunale lanciò la Clyde Waterfront Regeneration, un mix di demolizioni di aree in disuso, incentivi fiscali tesi ad attrarre investitori privati e investimenti pubblici. I resti dei vecchi docks, inclusi quelli più mastodontici come il Meadowside Granay di Partick, sulla riva settentrionale, sono stati spazzati via. Dall’inizio del secolo, almeno dieci miliardi di sterline si sono riversati sulle rovine industriali del fiume e nel centro cittadino. Nell’area del centro prospiciente il fiume si sono tramutati in parallelepipedi di vetro e cemento per uffici di società di servizi, banche e finanziarie. Più a valle, sono sorti nuovi appartamenti con vista fiume e opere pubbliche a tratti faraoniche. In pratica, una riedizione minore e tarda di quanto accaduto nell’East End londinese affacciato sul Tamigi. Sulla sponda di Govan, sulla penisola artificiale che chiudeva il Pacific Quay, si ergono oggi il Glasgow Science Center e un’alta torre panoramica rotante. Si tratta oggi dell’edificio più alto della città, nonché il più sfortunato tra le realizzazioni recenti: inaugurata nel 2001, è rimasta chiusa per quasi metà della sua esistenza per problemi strutturali, per riaprire definitivamente solo nel 2014. A poca distanza, si erge un esteso media center inclusivo di studi cinematografici, una stazione radio e la sede scozzese della BBC.
Sulla sponda opposta nelle aree di Kelvinhaugh e Finnieston, già alla fine degli anni Ottanta è sorto lo Scotland Exhibitions Center, arricchito nel 1995-2001 dal Clyde Auditorium, progettato dallo studio di Norman Robert Foster. Da molti additato come una vaga copia del Teatro dell’Opera di Sydney, nelle intenzioni dell’archistar doveva ricordare uno scafo navale rovesciato, in omaggio alla tradizione industriale del fiume antistante. In pratica, quello che si scorge è il dorso sconnesso di un gigantesco armadillo. Nel 2013, la riqualificazione dell’area è stata completata dalla realizzazione della gigantesca arena musicale SSE Hydro. L’opera, che ha una capienza di oltre quattordicimila spettatori, ha fatto di Glasgow un centro di riferimento europeo per esibizioni musicali dal vivo: nel 2018, l’Arena ha venduto oltre un milione di biglietti, la quarta al mondo.
Finnieston Crane, Hydro Arena, Glasgow Auditorium and Exhibition Center, Finnieston, 2015
Nel bel mezzo di questo tripudio di architettura post-moderna, a tratti anonima, a tratti innovativa, Glasgow non rinuncia alla sua memoria storico-industriale; di fronte all’armadillo di Foster svetta scura, metallica ed inquietante la gigantesca Finnieston Crane. È una delle tre grandi gru moderniste un tempo addette allo scarico di materiali pesanti sopravvissute alla scomparsa dei docks e dei cantieri navali. La seconda spunta tre chilometri più a valle lungo il Clyde, sul sito del vecchio cantiere Barclay Curle, dismesso negli anni Settanta. La terza si erge tutt’oggi sulla sponda del sobborgo di Clydebank, il cui cantiere, convertito in manifattura di piattaforme off-shore, ha cessato anche questa attività nel 2001. Meno di un chilometro a valle dell’Armadillo, la confluenza del fiume Kelvin nel Clyde è un crocevia metaforico delle ascese, cadute e speranze di questa città.
Il panorama del lungofiume è rotto in modo surreale da una grande facciata in acciaio e vetro scuro, dalle forme ricurve che sembrano ritagliate con una forbice, o parte di un fumetto disegnato sul cielo. È il grande Riverside Museum, inaugurato nel 2011 e nel quale è stato trasferito il Museo dei Trasporti un tempo ubicato nella Kelvin Hall. L’edificio è stato realizzato sul sito demolito del cantiere navale A.& J. Inglis, abbandonato nel 1964 e raso al suolo. Il complesso è opera dell’architetta britannica di origine irachena Zaha Hadid, prima donna a vincere il Premio Pritzker per l’Architettura e scomparsa prematuramente nel 2016. Glasgow punta dunque di nuovo sul fiume per rinascere. Oltre alla grandi opere pubbliche, si spinge molto sugli investimenti privati. Nel 2018, gli investimenti già in corso o approvati lungo il corso del Clyde entro la cerchia cittadina erano di ben due miliardi e mezzo di sterline. Alcune zone del fiume saranno a breve del tutto sconvolte, come l’area fluviale di Tradeston a Gorbals, destinata a scomparire sotto un enorme complesso di uffici di una grande banca d’affari, o come quella del Pacific Quay di Govan, che sarà presto riempita da una distilleria e un complesso residenziale e commerciale.
Portland Street Suspension Bridge, River Clyde, between downtown and Gorbals, 2015
Il fiume, il vuoto, l’abbandono, il grigio del cemento post-bellico, la gentrificazione e l’architettura postmoderna, assieme ai colori dell’arenaria, sono le anime di questa travagliatissima metropoli, talmente brutta da risultare bella. Anime che però non necessariamente devono stare in lotta tra loro anche in questa ennesima distruzione e ricostruzione. Uno dei progetti di investimento già in cantiere prevede la costruzione di un ponticello pedonale tra il Riverside Museum e le maisonettes di Govan vicine ai vecchi bacini di carenaggio vuoti. Un piccolo incontro, tra la riva ricca e quella povera di una metropoli che troppo a lungo ha mantenuto lungo le sue faglie geografiche anche quelle tra le classi sociali.