Alle prese con soffitte, solai, cucinotti e materie prime alle stelle
Una notte chi riposava a Kyiv, Irpin e Mariupol veniva svegliato dai boati delle bombe e dal fischio delle sirene; a poche centinaia di chilometri, negli hotel più esclusivi della valle Engandina, i Pos rifiutavano le carte di credito dei miliardari russi, che uscivano di senno nel vedere il proprio orgoglio ferito; poco più a sud io mi giravo nel letto temendo le reazioni del governo italiano alla crisi internazionale: inviare armi e alzare le spese militari fino a 40 miliardi l’anno significa tagliare altri impegni, quali? Niente è paragonabile all’orrore di veder bombardata la propria città, ma la prospettiva di non poter finire una casa a cui lavoriamo da un anno già basta a togliere il sonno.
Non sono mai stato tanto esposto all’effetto farfalla, un qualcosa che conosciamo in teoria e invece quest’anno le nostre vite sono investite da catene di concause oscure ed entropiche. Diciamolo pure: Mario Draghi è il mio nemico. Così come i prezzi delle materie prime improvvisamente alle stelle. Il maggior produttore di acciaio mondiale è la Cina, che ne ha cominciato a fare meno a causa dei distretti chiusi per la politica Covid-zero, sull’acciaio poi incide il costo del trasporto, su cui grava l’impennata dei prezzi energetici e la chiusura del Canale di Suez. Il legno in Italia non è mai mancato ma dopo la tempesta Vaia, che ha divelto boschi in Veneto e Trentino, per l’impossibilità di raccogliere le distese di alberi a terra le regioni li hanno venduti all’Austria: oggi non potendone tagliare altri siamo costretti a importare un bene che abbiamo svenduto appena l’altro ieri. E sapete da dove viene l’argilla bianca più pregiata, usata dal distretto ceramico di Sassuolo per la produzione di mattonelle? Dal Donbass.
Cos’è successo da novembre in cantiere? Una serie di cose che solo lì possono accadere, quei dettagli che emergono facendo i saggi sui solai, scrostando le pareti e demolendo i massetti. La prima scoperta è seguita a una deduzione: la casa ha i tetti spioventi ma il soffitto dell’ultimo piano è piatto, magari non ci sarà una vera e propria soffitta ma almeno un sottotetto deve esserci. Così fatto un buco scopriamo che in effetti una soffitta c’è, è abbastanza grande e ha addirittura un lucernario! E anche se non è proprio abitabile – pure se in mezzo si riesce a stare praticamente in piedi – è uno spazio utilissimo come magazzino ma soprattutto ci dà la possibilità di sistemare sotto il tetto gli isolanti: metterli attaccati al soffitto dell’ultimo piano ci avrebbe creato grossi problemi di altezza, problemi reali dato che dobbiamo rispettare un parametro stringente: la distanza tra soffitto e pavimento non può essere meno di 270 centimetri e lì avremmo rischiato di non starci. Chissà perché i vecchi proprietari avevano pensato di murarla questa soffitta, che spreco.
Appena fuori casa, nel giardino sul retro, sono emerse delle tubature di quello che doveva essere il vecchio impianto fognario – noi dovremmo rifarlo, la casa colonica è stata divisa in due un quarto di secolo fa ma se il vecchio impianto è stato integralmente assorbito dall’altra proprietà forse è dimensionato per smaltire le acque reflue di entrambe le abitazioni. Entriamo in contatto con i proprietari della casa accanto, che pare disabitata pur essendo tutto tenuto benissimo – un po’ come succederebbe in un racconto di Stephen King. Purtroppo esce fuori che no, o meglio sì: quelle erano le tubazioni del vecchio impianto fognario ma quell’impianto è stato smantellato, ora ogni casa deve avere il suo e quindi la prospettiva di scampare questo lavoro svanisce con la rapidità con cui si era presentata.
A causa di un cavillo burocratico scopriamo che facendo la cucina un po’ più piccola di come avevamo previsto la possiamo far passare per “cucinotto”, l’assurda implicazione è che classificando l’ambiente come tale possiamo evitare di abbassare il piano di calpestio del pavimento della stanza per raggiungere l’altezza minima imposta da questi regolamenti. Sono parametri comprensibili per gli standard dei nuovi edifici che al contrario finiscono per diventare insensati quando costringono a deformare secondo il loro dettato costruzioni tirate su secoli fa. Non scavare in ogni caso ci fa risparmiare tempo e denaro, il bagno e la lavanderia saranno un po’ più grandi, la cucina un po’ meno: così sia.
Ma soprattutto in questi primi mesi, una volta eliminati i massetti ai piani superiori, è emersa la necessità di rinforzare i solai, un lavoro che speravamo di non dover fare. I solai della nostra casa sono sostenuti da quelle voltine che in Toscana vengono chiamate “volterranee”, ovvero sono sorretti da travi in metallo tra loro legate da volte in cotto (che recupereremo, sono belle). Il meccanismo ingegneristico delle volte acquista stabilità quanto più è carico, ed è proprio scaricandolo del peso dei massetti e di parte dei vecchi pavimenti che ci rendiamo conto della fragilità dei solai. Sui piani superiori della casa si ha un po’ la sensazione di stare su una nave. Le nostre volte una volta liberate di ogni peso mostrano una certa fragilità. Il rinforzo dei solai è un intervento lungo e costoso ma che ha anche una valenza antisismica. Per farlo si stende a terra una rete di metallo elettrosaldata, agganciate a questa ci sono le cosiddette “code di rondine”, delle Y di metallo che si addentrano nei muri perimetrali, ancorando così la superficie dei solai a quella dei muri portanti. Una volta sistemato il ferro, tutto è allagato nel cemento. Passeggiando sui solai rinforzati la sensazione di stare sul ponte di una nave non c’è più. Dal punto di vista antisismico la logica è quella di operare un intervento che permetta ai piani della casa, o forse più correttamente dovrei dire alle stanze, di comportarsi come fossero delle scatole, cioè di muoversi insieme, essendo ora mura e pavimento legati tra loro. Ogni intervento che abbia una valenza antisismica in Italia deve essere per legge comunicato alla regione in cui avviene, lo facciamo e riceviamo un controllo: i lavori lo superano, dal punto di vista della tenuta antisismica la struttura è stata migliorata – speriamo di non doverci pensare mai più.
Essendo questo un pubblico diario mi prendo qualche riga per riflettere su alcune delle reazioni che hanno suscitato le prime puntate, anche perché sono state piuttosto varie. Mia moglie si è stupita dell’ansia che si respira nei primi episodi, ma l’idea di questa rubrica era proprio quella di raccontare tutto ciò che accade durante una ristrutturazione e data l’angoscia in cui ci hanno gettato alcuni frangenti era giusto in qualche modo restituirla. Altri non credevano che si trattasse di un resoconto reale: un amico giornalista che conosce la vicenda e anche le dinamiche editoriali mi ha detto che la singolarità è proprio nel fatto che io le racconti per davvero, così come succedono – per quanto posso e per quanto è opportuno nello spazio concessomi – “ma nessuno crederà che il racconto è in presa diretta”, ha chiosato. E invece lo è ma è interessante la sensazione che mi segnala: la cronaca della creazione di una casa è percepita come fasulla perché di solito lo è, in genere si tratta di operazioni commerciali per esporre a rotazione e promuovere elementi di arredo – non stavolta. Dalla redazione è filtrata una certa attesa per vedere “quanto sbracherò nell’articolo sulla banca” – da lettore confesso di condividere questa postura: il fatto di non sapere come va a finire a questo disgraziato è il fil rouge narrativamente più interessante pure secondo me. C’è poi un architetto che – a sua volta incredulo sulla veridicità del tutto – ha manifestato l’idea che questo diario non sia altro che un’operazione per pubblicizzare una casa da mettere in vendita. L’immagine legata al racconto di una lavorazione edile su una rivista come questa porta a sospettare fini del genere perfino in chi è del settore. La percezione dell’architettura e del relativo racconto sono ormai intrecciate al mercato – e alla fine quella dell’architetto forse sarebbe anche una buona idea: chissà che il fatto di descriverne la genesi non sia davvero una valida pubblicità per la vendita di una colonica... ma non è questo il nostro caso.
L’ultima reazione che riporto è quella di un intellettuale, il quale ha fatto un’osservazione su cui, stavolta da autore, ragiono a mia volta sin dalla pubblicazione del primo articolo: c’è qualcosa di pornografico, mi ha detto. È vero, ed è vero da una parte perché questo tipo di cronaca è altamente inusuale, e dall’altra proprio perché questa sarà davvero casa mia, che così finisce fotografata su una rivista. Di più: ne finisce fotografata la gestazione, un po’ come se una ginecologa diffondesse le ecografie del feto che porta in grembo. La sensazione di osservare qualcosa di privato può essere straniante ma nella mia intenzione è ineludibile passarci attraverso se l’idea è quella di descrivere tutte le fasi di un processo di ristrutturazione, e credo che la scelta di Elle Decor di sostenere questa trovata sia corretta: in fondo proprio come dimostra l’incredulità di alcuni dei commentatori ci troviamo a mostrare uno spaccato inedito, tanto più prezioso in quanto reale.
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La prima parte dei lavori, quella strutturale, volge al termine. Ora si passa alla fase impiantistica e a quella dell’isolamento termico. Comincio a entrare in contatto con una nuova serie di professionisti: l’idraulico, l’elettricista, l’infissaio. Proprio a quest’ultimo devo portare un campione del legno per le finestre, non ho tempo di andare in cantiere domani e quindi mi metto in macchina di sera, da Lido di Camaiore c’è poco meno di un’ora. Arrivo che è ormai buio, lascio il pezzo di legno in quello che sarà lo sgabuzzino. La casa è immersa nell’oscurità, mi faccio luce col cellulare e do un’occhiata agli ultimi lavori eseguiti, c’era da alzare un paio di architravi, rinforzare un angolo col cemento, creare un caveo impiantistico per le tubazioni. Quando scendo in giardino è notte, sento un rumore provenire da una siepe, è uno strano richiamo. Potrebbe essere una volpe? Mi avvicino e trovo il grosso gatto rosso dei vicini osservarmi guardingo. Il glicine è pieno di boccioli, sono qui per la prima volta a quest’ora. Il cielo è una distesa di stelle.
Diario di Cantiere è una produzione originale di Elle Decor Italia in collaborazione con Cantiere Galli Design