VENEZIA Gli imprenditori veneti hanno fretta di ripartire. Ma per farlo, oltre al via libera del governo, serve la garanzia della sicurezza per i lavoratori. Tradotto: si devono rifornire operai e impiegati di dispositivi di protezione individuale. «A pieno regime nelle aziende della nostra regione saranno attivi circa due milioni di lavoratori, che utilizzeranno almeno una mascherina al giorno. Possiamo ipotizzare, quindi, che gli imprenditori del Veneto avranno necessità di acquistare almeno 45 milioni di mascherine chirurgiche al mese». A fare i conti è Fabrizio Dughiero, prorettore al trasferimento tecnologico e ai rapporti con le imprese dell’Università di Padova. A lui si è affidata Confindustria perché le competenze tecnologiche dell’Ateneo siano messe al servizio di quelle aziende che hanno deciso di convertire il proprio business mettendosi a produrre dispositivi sanitari destinati a cittadini e (soprattutto) ai lavoratori.
La produzione di mascherine alla Pal Zileri
«Il fabbisogno è enorme - spiega il professore - ma sono già cento le imprese venete che stiamo accompagnando in questa svolta. Alcune di esse, conclusi i test e ottenute tutte le autorizzazioni, saranno in grado di produrre fino a 250mila pezzi al giorno. Nel giro di poche settimane non solo ci saranno protezioni sufficienti a garantire tutti i lavoratori, ma il Veneto potrebbe perfino arrivare a essere autonomo e a non avere quindi neppure la necessità di importarne dall’estero». Di storie di riconversione ce ne sono tante. Alcuni dispositivi Made in Veneto sono già entrati nelle nostre case, come i milioni di «schermi filtranti» distribuiti dalla protezione civile e realizzati da Grafica Veneta, che ha sede a Trebaseleghe. E se ancora adesso si può incontrare qualche difficoltà a reperire delle protezioni in farmacia, tra non molto ci sarà l'imbarazzo della scelta. Il Centro Moda Polesano, ad esempio, ha sospeso la realizzazione di abiti da sfilata per cucire camici ospedalieri.
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Diverse distillerie, a cominciare da Grappa Nardini, ora utilizzano i macchinari per fare igienizzanti e disinfettanti. A Maserada di Piave, la storica Tessitura Monti ha già ottenuto le certificazioni: a pieno regime sarà in grado di lavorare trentamila metri di tessuto immettendo sul mercato un milione di mascherine al mese. Anche alcuni brand famosi hanno convertito le linee produttive, come la vicentina Pal Zileri che ha già presentato prototipi di mascherine in cotone lavabili e riutilizzabili fino a dieci volte. Una spinta che può nascondere anche delle fregature. «Il rischio è che sugli scaffali troveremo anche prodotti scadenti, che non filtrano un bel niente», spiega Roberto Lovato. È un manager della Punto Piuma Srl di Reschigliano di Campodarsego, azienda che fa capo all’imprenditore Claudio Fiorotto e che fino a poche settimane fa era specializzata nella realizzazione di cuscini e coperte in piuma d’oca. Poi il cambio di rotta, grazie all’aiuto di Assindustria Treviso: ora produce otto differenti tipi di mascherine d’alta qualità e, se necessario, potrebbe sfornare un milione e mezzo di pezzi al mese. La società è subissata di prenotazioni. «È stato molto complicato - racconta Lovato - trovare i laboratori in grado di effettuare alcuni dei test previsti dal ministero per la linea di dispositivi super-filtranti che sarà destinata ai medici. È stato necessario interpellare centri di analisi in Turchia e in Belgio, poi per fortuna abbiamo trovato delle strutture italiane e contiamo di avere presto il via libera dell’Istituto superiore di sanità». Il prodotto più economico della Punto Piuma viene venduto a due euro. «Dalla Cina arrivano mascherine a 45 centesimi - conclude il manager - ma è evidente che qualità e costi di produzione italiani sono nettamente superiori».
La sfida è importante per una regione che ha fretta di rimettersi in moto. E il lockdown da Coronavirus terminerà solo per quelle imprese che avranno (anche) fatto scorta di protezioni. Il governatore Luca Zaia sta puntando i piedi affinché venga abrogata l’ordinanza in base alla quale qualsiasi container carico di dispositivi può essere sequestrato alla Dogana, in modo da dirottarlo in favore del sistema sanitario. Il resto dovranno farlo gli imprenditori. «Siamo disposti a tutto per salvaguardare lavoro e salute» assicura il presidente di Confindustria Vicenza, Luciano Vescovi. «C’è da acquistare mascherine e termo-scanner? Monitorare i sintomi, prevedere barriere e vie d’accesso diversificate? Dobbiamo sanificare i locali, fare tamponi ogni settimana? Siamo pronti. Anzi, lo eravamo già nelle scorse settimane. Il governo ci dica cosa vuole, perché qui bisogna ripartire altrimenti tutti i miliardi del mondo per cassa integrazione e liquidità non serviranno a niente: se le aziende perdono i mercati esteri è finita».