Il festival di Treviso chiude un’edizione da record con 20 mila presenze. Ecco gli scritti premiati nella sfida tra studenti ispirati dal noir di Ervas
L'ultima parola, nella domenica conclusiva di CartaCarbone Festival, l’ha avuta Barbascura X con un sold out al cinema Corso tra divagazioni sulla “scienza brutta” e spunti di riflessione dedicati ai giovani.
Ma nella giornata di chiusura della rassegna, caratterizzata da tre giorni di grandi numeri (20 mila presenze totali), al netto dei tanti incontri che si sono susseguiti da mattina a sera, il ruolo da attori principali l’hanno giocato senza dubbio i ragazzi delle scuole di Treviso e del resto della provincia.
Partiti domenica mattina in 120 dal Pio X con il loro kit di scrittura per partecipare alla prima edizione del contest letterario coordinato da Anna Girardi, docente del Liceo Canova, si sono “persi” nel centro di Treviso per redarre un racconto della lunghezza di circa una pagina ispirato dalle atmosfere noir e "gialle" dell'incipit dell'ultimo romanzo di Fulvio Ervas, "La giustizia non è una pallottola".
Dopo una lunga girandola di selezioni, tra giuria popolare, referenti e giuria tecnica guidata da Fulvio Ervas e dal condirettore delle testate venete del Gruppo Gedi a cui appartiene il nostro giornale, Paolo Cagnan, a inizio serata in una Loggia dei Cavalieri gremita di studenti sono finalmente fioccate le premiazioni, anticipate dai saluti dei giurati e da un videomessaggio augurale di Red Canzian.
A regalare le emozioni più vibranti con le loro parole, scritte rigorosamente a penna e caratterizzate da un forte gusto per il thriller e il colpo di scena, sono stati Sebastiano Giovanetti, diciassettenne del Pio X (indirizzo linguistico moderno), primo classificato e accolto da una vera e propria ovazione. Secondo posto per Andrea Polinedrio (terza superiore del Liceo scientifico Max Planck di Treviso) e terza piazza per Riccardo Tavella, della terza superiore del Liceo Giorgione di Castelfranco.
Sul palco i dieci ragazzi finalisti, salutati dagli applausi, hanno ricevuto vari premi: dagli ingressi omaggio al Cinema Edera alla possibilità di partecipare a una lezione di golf, fino ai voucher da spendere in libri e i cofanetti box, per viaggiare continuando ad esprimere sé stessi attraverso parole e visioni. Le premiazioni hanno chiuso CartaCarbone festival, avviando ufficialmente lo step successivo del contest che vedrà la partecipazione a workshop tematici nel corso del 2023 e insieme anche l’ideazione della seconda edizione.
E’ stata composta una Giuria Tecnica d’eccezione con il condirettore della tribuna Paolo Cagnan, la giornalista Sara D’Ascenzo, il dottor Roberto Rigoli, l’executive director del Musei Veneziani Mattia Agnetti, il regista Antonio Padovan, le docenti Anna Girardi e Giulia Zandonadi, l’imprenditrice Mariluce Geremia. Il presidente della Giuria tecnica sarà lo scrittore Fulvio Ervas.
L’incipit suggerito per i racconti brevi era questo:
“Una notizia strepitosa era giunta alla Questura di Treviso. Una di quelle notizie che fanno tremare le valvole cardiache anche ai poliziotti più esperti (...)” tratto dal libro La giustizia è una pallottola di Fulvio Ervas.
E’ difficile riuscire a realizzare racconti brevi, soprattutto di natura poliziesca, e per questa ragione la giuria vuole complimentarsi con tutti i partecipanti, che si sono messi in gioco ed hanno dato libera espressione alla creatività ed alla fantasia.
Veniamo ora alle motivazioni dei primi tre classificati.
1^ classificato: Racconto n. 5, di Sebastiano Giovanetti, Liceo Linguistico Moderno Europeo del Collegio Vescovile Pio X di Treviso (5AM).
Ha saputo creare, con uno stile proprio, un contesto originale, conducendo il lettore nel passato, tra i testi di molte canzoni che ci hanno accompagnati in un viaggio insolito ed affascinante.
2^ classificato: Racconto n. 102, di Andrea Polinedrio, Scientifico Plank, classe 3^
E’ riuscito a coglierci di sorpresa, accompagnando il lettore in un crescendo di intensità, fino al colpo di scena finale, con una chiusura tecnicamente molto suggestiva ed efficace.
3^ classificato: Racconto n. 59, Riccardo Tavella, Liceo Classico Giorgione, 3^
Ha ampliato gli orizzonti, con una particolare attenzione al senso civico, nel malinconico logorio del tempo, e ha condotto il lettore in una dimensione onirica, con un’attenzione particolare alla città di Treviso, che è divenuta protagonista.
Pio X - Linguistico moderno
È facile pensare che le vecchie membra delle autorità, impregnate di esperienza, con pupille spente e iridi illuminate dei più astrusi episodi di cronaca nera, non si meraviglino di nulla. Dopo questo ennesimo episodio, forse, non c'era davvero più nulla che potesse spalancare i loro occhi.
Era il 1972. Un'estate calda, fervente stati d'animo, bollori di spirito giovane: tutto ciò era Treviso, con gli spazi vicini al duomo gremiti di ragazzi. C'erano anche loro, mimetizzati e confusi in quel chiacchiericcio tranquillo che godeva, che si crogiolava sotto il sole.
Era il 1972. Quanto si amavano. Non avevano nemmeno vent'anni. Eppure il loro amore fortissimo, Come se la vita avesse concesso loro il profondo significato dell'esagerato e dell'inebriante sentimento del volersi bene aldilà del desiderio carnale e peccaminoso tipico di noi uomini.
A loro bastava poco, pochissimo; tutto ciò che era necessario, oltre alla loro vicinanza, era la musica, lungo le rive del Sile, buttati su un qualsiasi spazio verde, sfiorandosi impercettibilmente per accertarsi della reciproca presenza imprescindibile, senza sarebbero stati incompleti, si sarebbero persi nel chiacchiericcio trevigiano. “House of the rising sun”, “ come together”, “Hey Jude” e, la loro preferita, “Stairway to heaven”. Il loro passare la vita aveva questa colonna sonora.
Era il 1972. Lei lo tradì, lui lo scopri. Furono fiumi, laghi, mare di lacrime e urla gridate sommessamente con voce sospirata e rotta. Impazzì, l'amore è capace di tutto, di far viaggiare gli amanti attraverso tutto lo spettro elettromagnetico delle emozioni. Era il 1972. Grigia giornata di pioggia. Era terrificante.
Lui l'aveva crocifissa. Stava lì, un foro figlio di diverse pugnalate all’altezza della bocca dello stomaco. Stava lì, sul punto zenitale di porta santi quaranta. Appena sopra il leone. E stava lì una scritta orribile, rossa sangue che copriva la dicitura “porta de sanctis qvaranta”: “and she’s buying a stairway to heaven”.
Forse, in questura, potevano dire di avere visto tutto.
Liceo scientifico Max Planck - Treviso - terza superiore
Una donna sulla sessantina, bassa, minuta e dall’aspetto malaticcio si era presentata quella mattina all’ufficio del questore affermando, in preda al terrore, di aver ritrovato, in un punto non specificato della sua cantina, una botola che accedeva ad uno scomparto interrato, nella quale, secondo il suo racconto, erano custodite delle ossa umane. Il questore e una pattuglia si erano quindi recati sul posto, condotti dalla donna, e si erano diretti verso la cantina.
Sul fondo di essa, come descritto, trovarono la botola sul pavimento, chiusa da un pesante tombino d’acciaio. Lo ribaltarono, sollevando una nuvola di polvere, ed entrarono nell’apertura circolare sotto di esso. L’interno era buio, e l’aria stantia, intrisa di polvere e di odore di muffa rendeva difficile respirare.
Lo stretto cunicolo che si apriva sotto i piedi della squadra di polizia si congiungeva con una galleria sotterranea, che la luce delle torce elettriche rivelava essere una sorta di condotto fognario abbandonato, sul cui pavimento era depositato ogni genere di detriti e calcinacci. Ma di resti umani nessuna traccia.
Un fragore metallico rimbombò per un istante nel silenzio immobile del condotto e la fioca luce che filtrava dall’apertura da cui erano entrati cessò di colpo. La minuta signora aveva sollevato il pesante coperchio in acciaio e l’aveva lasciato cadere chiudendo l’apertura.
Liceo Giorgione - Castelfranco - terza superiore
La notizia era giunta non attraverso una denuncia, ma attraverso lo stesso maresciallo. Una fresca mattinata di aprile, quando già hli uccellini cominciavano a cinguettare e i balconi si coloravano di rossi ciclamini, l'uomo si era accorto che è una casa del centro di Treviso non c'era più.
Così aveva deciso di raccontare la nuova al questore, un uomo alla fine della carriera dagli occhi spenti. Questi subito si era inebriato alla possibilità di un nuovo grande caso per le mani. Subito tutta la questura si era messa all'opera, in un confusionario valzer tra le scrivanie. Nel giro di pochi giorni erano stati interrogati un giovane uomo, un vecchio signore e una donna avvolta in un grigio scialle.
Tutti erano sicuri che la cosa ci fosse, con il suo portico e i suoi variopinti affreschi. La casa era davvero scomparsa nel nulla, lasciando solo le fondamenta, senza calcinacci né travi. Il questore, disperato, si era rivolto alla nipotina di otto anni la quale gli aveva risposto che non conosceva la casa, né il portico, né tantomeno gli affreschi.
Improvvisamente, proprio dal maresciallo era giunta la soluzione: l'edificio era esistito solo nelle loro menti fino a quel momento. L'incessante scorrere del tempo aveva offuscato la loro memoria. L'ideale figura della casa non esisteva più, corrosa dagli anni e dalle intemperie. Gli affreschi il portico erano stati abbandonati a loro stessi.
Tutti, il maresciallo, il questore, la signora, l'uomo e il vecchio ricordavano la struttura come l'avevano conosciuta, non come fosse diventata realmente. La paura di cambiare, di dover cedere al passato una vivida realtà, aveva oscurato la mente di tutti. Erano distrutti dall'incuria e dalla cecità loro e dei loro concittadini.
Così come avevano abbandonato la casa, avrebbero potuto abbandonare Treviso tutta.
Collegio Salesiano Astori - Mogliano - seconda scientifico
Ore 7:30. Il telefono squilla. Di già."Buongiorno, questura di Treviso. Con chi parlo?" Dice Paolo con voce scocciata. smettendo di riordinare le scartoffie, che ormai già da un po', si erano accumulate sopra la sua scrivania.
"Paolo vieni subito alle mura. Abbiamo trovato una borsa sulla riva del fiume e devi assolutamente vederla. Non sappiamo cosa fare.” Sputa fuori tutto d'un fiato una voce tremolante ben conosciuta da Paolo. Era Andrea, un agente alle prime armi.
"Andrea fai un respiro profondo. Dammi 10 minuti e sono lì." riattacca secco l'agente. Di corsa prende la giacca ed esce dalla questura. Le mura già brulicano di poliziotti, la scientifica è al lavoro e purtroppo anche la stampa. Paolo riesce a scorgere tra la folla Andrea e con passo spedito, facendosi spazio con le braccia si dirige verso di lui.
"Cosa hanno trovato?" Chiede a denti stretti, corroso dall’agitazione.
"Sono lì sono 17 Paolo.17 bottiglie di vetro dentro la borsa. Ognuna contiene un foglio con su scritto nome. La scientifica ne ha già analizzate alcune. E’ sangue, sangue vero.”
Paolo è un agente esperto, dovrebbe sapere reagire a certe situazioni e invece le parole gli muoiono in gola. L'esperienza non conta nulla davanti a 17 vite perse. Le frasi che non riesce a dire sotto forma di parole gli sgorgano fuori dagli occhi. Quelle lacrime beffarde impossibili da cacciare che restano lì, lì aggrappate. E contro ogni regola e ogni protocollo le lascia uscire.
Paolo si ricompone, acceso da una nuova determinazione: fare giustizia e ridare dignità a queste vite, ancora senza un volto.
Liceo Canova - Treviso -quinta
Detto da me sembra quasi impossibile, nel corso della mia carriera ne ho viste di cose orribili, soprattutto a Napoli, dove ho lavorato per anni. Non non mi abituo mai a vedere i cadaveri, con il tempo ho imparato a dissociarmi dall'evento, a scindere l'aspetto umano dal ruolo che rappresento, ma volte questo menefreghismo mi sembra più aberrante del fatto in sé. Il modus operandi per punire i pentiti è il peggiore: ragazzi privati delle orecchie con cui hanno sentito, degli occhi con i quali hanno visto, delle dita con cui hanno indicato e della lingua con la quale hanno parlato. Sono una poliziotta, ma sono anche una persona, una madre che riesce purtroppo ad immaginare il dolore della perdita di un figlio.
Non riesco a fare in modo che questi ricordi smettano di perseguitarmi. Ad ogni modo la notizia arrivata quella mattina era curiosa: un noto componente dell'infiltrazione ‘ndranghetista della zona brutalmente ucciso.
Un colpo secco di pistola. Testa e mani mozzate e cuore pugnalato post mortem: era la terza volta in un mese con uguale modalità e Target di vittima. Volevo iniziare subito a lavorare sul caso, ma i miei colleghi non me lo permisero: “Ludovica, lavori senza sosta da settimane. Hai bisogno di riposo”. Ero furiosa e me ne andai a casa, soprattutto perché sapevo che avevano ragione: gli incubi erano sempre più frequenti e vividi, rivivevo gli omicidi ogni notte. Sento bussare alla porta. Era notte fonda; il mio collega mi fissava sconfortato: ero in arresto. DNA, bossoli e identikit: tutto conduceva la mia colpevolezza. Taglia le mani con cui hanno ucciso, la testa con cui hanno pensato e preso la mira, pugnala al cuore come è stato fatto a me.
I miei incubi fin troppo ludici ora acquistano senso.
Pio X - Liceo Classico - quinta
Il telefono del centralino aveva squillato eccezionalmente presto quella mattina.Fuori dalle finestre degli uffici le luci dei lampioni illuminavano ancora le strade e la nebbia tipica dell'inverno Trevigiano nascondeva il cielo blu notte. Risponde il commissario Tozzi.
Dall'altra parte della cornetta una donna: la voce fastidiosamente acuta e tremolante, i respiri profondi e strettamente controllati di chi cerca di parlare lucidamente pur trovandosi nel panico più totale. Si tratta di Sabrina Spagnoli, una delle donne più controverse e influenti della provincia di Treviso, protagonista, insieme alla figlia Artemisia, della scena artistico-culturale della città. Negli ultimi anni, si erano guadagnate il nomignolo di "streghe dell'est" per i loro comportamenti e opinioni fortemente spinti riguardo la situazione politica e sociale. Delle Donne, insomma, che sapevano come farsi odiare.
Parla velocemente, senza curarsi di quello che Tozzi fosse riuscito a comprendere o meno, e chiede disperatamente di correre subito alla sede della sua collezione d'arte privata.”E’ mia figlia", l'ultima frase che sussurra in lacrime prima di agganciare. Tozzi e un paio di colleghi si dirigono verso villa Spagnoli dove Sabrina aspetta sulle scale dell’entrata. Continua a ripetere il nome di sua figlia con le lacrime che le rigano il viso, allungato e sciupato.
Nelle sue mani un bigliettino, l'ultimo di un mucchio che erano arrivati alla Spagnoli ma che lei non aveva mai denunciato per troppo orgoglio: "Giuditta uccide Oloferne. Giuditta uccide Artemisia”. Il commissario prende coraggio e entra nel soggiorno. Accanto ad un Cezanne e ad un Pissarro, una teca di cristallo illuminata dall'alto da un inquietante luce Tea traig. Sul pavimento una pozza di sangue secco.
All'interno della teca, la testa di Artemisia.
Quando Jack, ex cadetto della Questura, entrava con la sua felpa nera in quell’edificio, una notizia strepitosa era giunta. Glielo aveva confidato Henry del centralino, uno degli unici due amici che aveva in quel lavoro. Forse perché sembrava pazzo, aveva stretto un legame solo con lui ed il suo capo Thomas. “Senti qua, è stato trovato il corpo morto del commissario" gli aveva sussurrato.
Jack, in quella frase, aveva percepito un po’ di paura, ma doveva essere normale dato che l’uomo esanime era sempre stato la figura di riferimento per tutti: infatti, anche i poliziotti più esperti sembravano scioccati. Trovato fuori dall’edificio, accantonato in un angolo, era deceduto per tre colpi di arma da fuoco, gli aveva detto Henry.
Aveva anche aggiunto che alcuni l’avevano visto uscire poco prima con un uomo incappucciato con la felpa nera, proprio come quella di Jack. Proprio mentre quest’ultimo ascoltava la storia dal suo amico però, il telefono era squillato.
"Buongiorno, Questura di Treviso” aveva risposto lui. “Questa è una chiamata registrata” aveva esordito una voce roca. “ La persona davanti a lei è colui che ha ucciso il signor Thomas”. Henry, confuso, aveva spostato il suo sguardo su Jack, in piedi davanti al centralino. Il suddetto uomo, lo fissava con un sorriso da pazzo, mentre gli puntava la pistola contro. “La giustizia non è una pallottola, di solito” aveva detto l’ex cadetto.
“Signora De Bernardin mi scusi signora”. Manuela aprì gli occhi improvvisamente, a svegliarla era stata una voce proveniente dalla porta: sbattendo ancora le palpebre scannerizzò rapidamente la stanza intorno a sé, cercando di rendersi conto della situazione in cui si trovava, ciò che dedusse però, non le piacque affatto, era infatti chiaro che si fosse addormentata in ufficio la scorsa notte.
Alla fine aveva ceduto allo stress e il suo corpo si era concesso qualche ora di riposo; più di qualche ora in realtà, potè notare con un rapido sguardo all’orologio; la quantità record di caffeina consumata nei giorni precedenti che l’aveva tenuta vigile e operativa per due notti di fila aveva terminato il suo effetto.
“Mi scusi se la disturbo ma è arrivato qualcosa per lei, qualcosa di importante”. Ricomposta sulla sedia e riconosciuta la voce del maresciallo Pavon capì dal tono agitato che la novità avrebbe riguardato il “Caso Conte”, assoluto priorità dei suoi agenti da quando sabato scorso la figlia Rebecca del Sindaco era stata rapita in via K2 a Santa Bona, come riportato dai testimoni del luogo. In tarda serata non era passato molto dall’allarme generale che la famiglia aveva ricevuto le condizioni del riscatto: due milioni di euro in diamanti di piccolo taglio da consegnare in ventiquattro ore.
Preso atto della irrealizzabile pretesa Manuela si era subito messa all’opera, determinata a gestire e risolvere il prima possibile senza concedersi riposo sino a quando la giovane quindicenne non fosse tornata tra le braccia dei familiari. Quella mattina di lunedì erano però scadute le famigerate ore concesse e la voce greve del collega al risveglio poteva solo essere presagio di brutte notizie. Il maresciallo le porse così un cofanetto, trovato pochi minuti prima all’entrata della Questura con allegata una lettera con sigillo.
“Vi avevamo avvisati, avete altre 12 ore o ve ne manderemo un altro” recitava il messaggio. Con il cuore che le esplodeva nel petto Manuela scoperchiò il cofanetto rivelando così cosa si celava all’interno: il dito mozzato della ragazzina riempiva orribilmente il vuoto della scatola.
“Stavo tornando a casa la sera, quando vidi entrare in uno stretto vicolo una sagoma scura. Mi incuriosii e decisi di seguirlo. Provai a guardare dentro l'imboccatura di quella buia stradina, ma non vidi nessuno. Un alto muro sbarrava la strada: era un vicolo cieco! Ma lui dov’era?”
“Questo cosa c'entra con l’assassinio?”
“Un attimo, signor questore. Ci stavo arrivando, la mattina seguente mi svegliarono le urla di panico dei concittadini. Uscii di casa e vidi il cadavere a bordo della strada, circondato da curiosi.”
“Lei crede che l'assassino sia il misterioso fuggitivo?”
“No, no, io suppongo che lui sia il gatto sfortunato rimasto ucciso in quell'incidente. Credo che dopo aver scavalcato il muro, il povero animaletto, abbia attraversato distrattamente la strada E uno di quei giganti su ruote lo abbia investito. Ora devo andare altrimenti il mio padroncino si spaventerà.”
“Grazie mille, signor Rottweiler, il suo intervento è stato molto utile. Indagheremo in seguito sulla veridicità delle fonti. Dichiaro conclusa la seduta dei felini.”
Liceo Canova - terza Linguistico
Una notizia strepitosa era giunta alla questura di Treviso. Una di quelle notizie che fanno tremare le valvole cardiache anche i poliziotti esperti: una famiglia benestante ha subito un furto ma non stiamo parlando di una ladreria qualsiasi, in questo caso il bottino del rapinatore è alquanto prezioso e sostanzioso: il neonato dei coniugi e Bianchi.
Il particolare più sorprendente è che, dopo un'accurata ispezione della dimora dove i Bianchi alloggiavano, non è stato sottratto alcun oggetto di valore. Tutte le suppellettili erano a loro al loro posto, l’oro ubicato nel salotto della villa non è stato nemmeno sfiorato, come il portone d'entrata che non presenta segni di effrazione. Nell'aria l'odore dello sconforto e della confusione era invero tangibile. Nessun investigatore ha rinvenuto tracce seminate dal rapinatore, nemmeno il commissario Lorenzi, criminologo noto per aver scovato il responsabile di una fitta rete di uxoricidi.
I Bianchi erano apprezzati da tutta la cittadina e per codesto motivo, non c'era nessun possibile movente. Dopo lunghi anni di accurate indagini senza alcuna conclusione, dopo svariati appelli in tutte le reti televisivi nazionali, i Bianchi si rassegnarono all'idea di trovare il loro pargoletto svanito nel nulla. Così i coniugi ripresero la loro normale vita quotidiana e lavorativa. La signora Bianchi intraprese addirittura una collaborazione con la polizia per via della sua storia.
Il nuovo lavoro stava dando i suoi frutti e tutto andava per il meglio; quando un giorno qualunque, si presentò in caserma un ragazzo con l'accusa di omicidio colposo. Gli occhi della donna, intrisi di languore, cambiarono improvvisamente aspetto, come la sua carnagione che assunse un colore smunto.
In quell'omicida riconobbe suo figlio.
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