Il martedì e il mercoledì in USA sono i giorni dedicati all’uscita dei nuovi albi a fumetti, molti dei quali sono numeri di esordio di serie e miniserie, i first issue. First Issue è la rubrica de Lo Spazio Bianco dedicata ai nuovi numeri uno in uscita negli States! In questo episodio #105 analizziamo alcune delle novità più interessanti uscite della prima metà del mese di giugno 2022.
Anche il Re dei mari approda nell’etichetta “adulta” di casa DC, la Black Label, con una miniserie firmata da due autori del calibro di Ram V e Christian Ward intitolata Aquaman – Andromeda. Centro del racconto è una spedizione sottomarina segreta – con un mezzo a motore quantico – nell’Oceano Pacifico, più precisamente a Point Nemo, il famoso cimitero delle astronavi, alla ricerca di un misterioso manufatto alieno. Su questo singolo elemento, lo sceneggiatore di origine indiana costruisce un primo numero in cui, nelle 48 pagine in cui si sviluppa la storia, l’eroe protagonista appare in due singole sequenze e in una manciata di tavole. Aquaman, in questa sua interpretazione, viene presentato come una figura misteriosa di cui pare che l’umanità – o quanto meno l’equipaggio del sottomarino Andromeda – sia all’oscuro dell’esistenza. Un approccio dunque molto realistico alla storia, che si riflette proprio nel character design molto particolare sia del supereroe che dell’antagonista, il pirata Black Manta, nemico storico di Aquaman: gli elementi distintivi ci sono tutti, ma reinterpretati da Christian Ward in modo assolutamente originale. Proprio i disegni sono l’elemento qualificante di questa miniserie. Ward è un artista molto particolare, le cui tavole si basano su una costruzione fondata sul colore, che diventa materia volumetrica e di definizione di ambienti e personaggi. In questo caso, le profondità oceaniche rappresentate da Ward diventano paesaggi alieni, in cui i toni azzurri, blu e verdi delle acque si mischiano a cromie acide ed elettriche che accendono le pagine, costruite su una gabbia assolutamente libera, con vignette e sequenze delle stesse che deformano i propri lati per piegarsi alla narrazione. Il formato più grande rispetto a quello del comic book classico, regala alle varie splash page doppie presenti nell’albo un impatto ancora maggiore ed esalta il lavoro di Ward, molto impressionistico e lontano da una ricerca del naturalismo, assolutamente adatto a un racconto che, a giudicare da questo esordio, si preannuncia ricco di toni amari e duri, oltre che di riflessioni ambientali a cui Ram V ci ha già abituato in passato.
Di seguito, le copertine delle novità DC Comics.
C’è un uomo seduto al bar. Beve birra da un bicchiere alto dalle pareti sottili. La vignetta che lo raffigura è ampia, scivolata su tutta la pagina, ma non abbastanza grande da contenere la vita che ci scorre dentro. A pensarci bene, sembra di stare in un quadro di Edward Hopper o in un film di David Lynch. Capisci subito che è sera, forse notte, un’ora tarda insomma, un momento di fine giornata quando la stanchezza ti piomba addosso e ti fa abbassare la maschera che hai indossato dal mattino e cominci a raccontare di te al primo che ti si para davanti. Si prova subito un senso di intimità guardando la scena. Il silenzio ci avvolge contagioso e rimaniamo col fiato un po’ sospeso a scrutare attraverso la pagina che sembra una porta aperta su un’altra dimensione. Il bicchiere dell’uomo si svuota e si riempie velocemente. Nella scena c’è anche un barista, un tipo loquace che sa il fatto suo. Vediamo anche uno sparuto gruppo di ragazzi, ma sono lì solo a far numero, non c’entrano con la storia. Il barista sa quando riempire il bicchiere, conosce il momento nel quale la gola si secca e fai fatica a continuare a raccontare. Del resto, è il suo mestiere. Il tipo dell’inizio, proprio quello seduto al bar, è smilzo, capelli neri, spalle asciutte e il fisico da giocatore di bocce. Parla, rivela di sé e della sua famiglia stabilendo una strana intimità con l’uomo dietro il bancone. Vuole raccontarsi, essere compreso, spiegare dei dettagli della sua vita e scusarsi dei suoi sbagli, come se l’uomo davanti a lui potesse assolverlo da tutti i suoi peccati. Che poi non ne ha nemmeno commessi, è solo che è fatto così, manchevole verso la moglie e più in generale verso la famiglia e il suo matrimonio. L’uomo si sente inadeguato, in difficoltà con le responsabilità di marito e di padre. Dai suoi discorsi sembra che stia cercando una pausa, qualcosa che lo allontani dai doveri della vita, quella coniugale e familiare. L’uomo racconta di avere un figlio di quattro anni che gli desta qualche preoccupazione. Il bambino sta attraversando un periodo difficile perché, a suo dire, dall’armadio della cameretta, di notte mentre nessuno e li a guardare, vede uscire un mostro che lo spaventa e lo strazia nel profondo. James Tynion IV scrive una sceneggiatura ipnotica e di rara bellezza che ci accompagna, in una notte buia, a sederci in un bar per ascoltare i discorsi di Thom alla vigilia del trasferimento suo e della famiglia a Portland, in Oregon: l’obiettivo è quello di trovare un nuovo punto di partenza per provare a sanare le crepe che si sono aperte nella sua vita coniugale. La storia, mascherata da racconto che naviga nelle acque agitate del genere horror, in realtà ci parla dell’umanità e della vulnerabilità del protagonista, un uomo che riflette sui suoi fallimenti e sulle difficoltà della sua relazione amorosa. Un uomo che vive conflitti personali e matrimoniali che inevitabilmente arrivano ad intaccare la serenità del figlio, influenzandolo negativamente in un momento di delicata crescita fino a terrorizzarlo nel profondo. La relazione tossica che Thom condivide con la moglie Maggie è solo la punta dell’iceberg che affiora nel mare della triste incomprensione della coppia, che ha portato entrambi ad allontanarsi inesorabilmente per naufragare su spiagge diverse. Quello di Thom è una fuga silenziosa, fatta di continue disattenzioni verso la famiglia. Comportamenti sconsiderati di un genitore e partner che non sembra riuscire a smettere di guardare indietro alla sua vita da single, leggera e priva di doveri coniugali. Un periodo vuoto di frustrazioni, ansie e stress, dove le giornate si pesavano al netto dei fallimenti coniugali e dove non era richiesto di confrontarsi con i complessi sentimenti messi in gioco all’interno di una relazione di coppia. La sceneggiatura trova il suo elemento guida nella figura di Thom, che rappresenta il legame tra i personaggi e il collante tra questi e la storia. Tutta la narrativa, che oscilla tra una sorta di autoanalisi del protagonista e l’aspro confronto familiare, si sviluppa all’interno di dialoghi affilati e nell’evidenza delle reazioni degli altri personaggi alle condotte omissive di Thom. L’introduzione di un elemento fantastico, la creatura mostruosa che fuoriesce dall’armadio durante la notte, è la metafora narrativa che Tynion IV utilizza per scendere un gradino della scala che porta nelle interiora dei suoi personaggi, andando ad affondare le mani direttamente nelle loro personalità. I dubbi di Thom sulla sua vita coniugale uniti alla sua incapacità di affrontare le responsabilità genitoriali, il suo guardare indietro alla sua vita prima del matrimonio, sono i segreti imbarazzanti che l’uomo custodisce gelosamente all’intero del suo personalissimo armadio. Gli scheletri che qui rappresentano i mostri con i quali è costretto a convivere segretamente. Le tensioni e le liti destabilizzanti che esplodono all’interno della famiglia sembrano rappresentare, invece, i motivi della comparsa del mostro che tormenta suo figlio Jamie. Un bambino di pochi anni immerso in un ambiente privo di amore e scarso di attenzioni e risposte alle sue necessità. Lo stress e le ansie dell’età adulta entrano così in contatto violento con l’universo delle paure infantili, generando una terrificante entità immaginaria che non sembra intenzionata ad abbandonare il piccolo Jamie. Nella seconda parte dell’albo il registro narrativo cambia radicalmente, con una sceneggiatura che sembra correre al ritmo delle sole immagini, spegnendo le voci dei protagonisti. Ci troviamo ad assistere ad una nuova fase del racconto che va a riferire delle tensioni familiari attraverso la sola consequenzialità delle vignette. La parte grafica affidata a Gavin Fullerton diventa allora fiamma pilota di un racconto a combustione lenta che arriva, nelle scene finali, a un cliffhanger capace di lasciare il lettore in trepidante attesa del secondo numero della serie, prevista sulla distanza totale di tre uscite. I disegni, nel cogliere il corretto tono emotivo dei personaggi, riescono a descrivere il mondo nel quale questi interagiscono. Un luogo dove aleggiano sentimenti negativi che passano dalla rabbia alla disperazione per poi giungere alla paura. Le matite di Fullerton fotografano impietosamente la realtà imprimendo il giusto ritmo alla storia, riuscendo a trasmettere un profondo senso di disagio all’apparire del mostro, una creatura realmente disturbante che sembra richiamare una orripilante escrescenza tumorale. I colori di Chis O’Halloran riescono a palesare l’atmosfera di livorosa sospensione che attraversa l’albo grazie alla scelta di tonalità scure utili a sottolineare anche il senso di intima chiusura degli ambienti e dei personaggi. The Closet, pubblicato in precedenza a pagamento sulla piattaforma Substack e ora proposto in forma cartacea, testimonia il grande livello narrativo raggiunto dall’autore che attinge dalla vita quotidiana per raccontare una storia nella quale si muovono personaggi realistici e imperfetti alle prese con problemi reali. Una scrittura avvincente che promette di trascinarci fino in fondo all’armadio di Jamie per scoprire quali segreti si nascondono nel buio delle sue paure di bambino. Ferdinando Maresca
Di seguito, le copertine delle novità Image Comics.
La Terra è sconvolta dagli effetti di una terza guerra mondiale e del riscaldamento globale e l’unica luce di speranza sembra essere la notizia che un’astronave lanciata quindici anni prima, la Dedalus, sta raggiungendo la propria destinazione: un pianeta simile al nostro, in orbita attorno alla Stella di Barnard, a circa sei anni luce dal sistema solare. Purtroppo anche questo spiraglio si rivela illusorio: la Dedalus è in realtà caduta sulla Terra, in un luogo, Point Nemo, lontano da qualsiasi insediamento dove nel tempo sono state indirizzate varie navicelle al loro rientro sul pianeta. Un cimitero di astronavi, insomma. La Dedalus contiene tecnologie non più disponibili, cosa che innesca una caccia al tesoro fra le potenze: Where starships go to die – serie Aftershock Comics firmata da Mark Sable (testi), Alberto Locatelli (disegni), Juanchoi (colori) e Rob Steen (lettering) – segue una spedizione privata, composta da un gruppo di specialisti finanziato da un’imprenditrice indiana. Il racconto ha l’atmosfera dell’avventura classica: delinea l’ambientazione con qualche spiegone iniziale, presenta i personaggi uno a uno, propone una missione rischiosa e si congeda con un mistero che alza la tensione nel finale di episodio, aprendo scenari di “storia alternativa”. In questo primo albo, non troviamo alcunché che un lettore esperto non abbia già incontrato e l’apparecchiamento degli elementi è eseguito in maniera funzionale, rendendo chiaro il setting ma senza mettere in evidenza particolarità. Visivamente, la scena è dominata dai personaggi che, se da una parte sono stereotipi, dall’altra godono comunque di un’efficace espressività. Gli sfondi e gli ambienti sono resi in maniera essenziale ma sufficiente nel definire gli spazi nei quali si svolgono le varie scene. In conclusione, un debutto senza segni particolari e che offre una lettura lineare e ben cadenzata. Curiosità: il nome dell’astronave Dedalus deriva dal Progetto Dedalus degli ’70, ad opera della British Interplanetary Society, che immaginò il progetto di una sonda automatica, mossa da un motore a fusione nucleare, per l’investigazione del sistema planetario della Stella di Barnard. Da questo, derivò il progetto di una sonda interstellare in grado di autoreplicarsi: una visionarietà che affascina ancora oggi. Simone Rastelli
Si verifica un blackout proprio mentre Arturo è sulla tazza e, ben peggio, sta a lui risolvere il problema, almeno stando a quanto sbraita quell’uomo volgare che è il suo capo. Si apre così la miniserie Cyberpunk 2077: Blackout, quattro capitoli editi da Dark Horse Comics, sceneggiati da Bartosz Sztybor per i disegni di Roberto Ricci e i colori di Fabiana Mascolo. Il primo episodio del fumetto, che svolge la funzione di arricchire l’immaginario generato dal videogioco Cyberpunk 2077, si sviluppa su due piani narrativi: il desiderio del protagonista di morire e la necessità di compiere il proprio lavoro. Anche grazie al linguaggio espressionistico scelto, i testi sono molto scorrevoli e consentono alla trama di procedere facilmente. Tuttavia, l’aspetto più interessante di questo albo d’esordio è quello estetico, in virtù dell’armonia efficace tra i disegni e la colorazione. Il tratto dinamico e nervoso di Ricci si esplicita sia all’interno delle vignette che al di fuori, ossia nell’impostazione della gabbia che è facilmente leggibile ma anche varia, poiché la monotonia viene evitata per mezzo degli sconfinamenti e di un orientamento che oscilla tra la verticalità e la orizzontalità dei riquadri. Si passa poi da sfondi curati e particolareggiati a vuoti che simboleggiano la solitudine di Arturo, un pesce fuor d’acqua in un’economia cannibale. Le tinte scelte da Mascolo sono perlopiù cupe, utili per accentuare la decadenza morale degli individui che popolano le pagine, ma è importante notare come il colore abbia anzitutto una funzione narrativa. Da un lato separa la routine lavorativa del personaggio principale dai fatti particolari che lo coinvolgono, dall’altro crea una distinzione tra ciò che accade nella realtà alternativa e aumentata e quella “materiale”, quindi tra ciò che esiste dietro un visore e ciò che sta semplicemente davanti agli occhi. Una soluzione vincente che impreziosisce un buon incipit. Federico Beghin
Vi siete mai chiesti cosa succede quando delle creature sovrannaturali, che si aggirano nel nostro mondo, hanno bisogno di cure mediche? Dopo uno scontro, oppure per un banale incidente, oppure per una malattia sconosciuta? A questa domanda rispondono Cavan Scott e Andres Ponce in The Ward, serie Dark Horse Comics che unisce in maniera curiosa medical drama e fantasy. Senza perdere tempo in preamboli, gli autori trascinano il lettore nel mondo della dottoressa Nat Reeves, che si trova sulla porta di casa una creatura mistica ferita da un’arma da taglio non convenzionale. Questo evento riporta la protagonista al St. Lilith, un ospedale per creature mistiche che si trova oltre la dimensione terrena. In poche pagine facciamo la conoscenza di minotauri e centauri, della fantasmagorica dottoressa Kumasaka, direttrice dell’ospedale, e di Earl, l’orco guardia di sicurezza, della guidatrice di ambulanza Ceri e dell’infermiera Lydia, capace di sdoppiarsi per sopperire alla mancanza di personale. Cavan Scott imposta la narrazione su un ritmo molto alto, che riprende alla perfezione i momenti più concitati di serie come ER e Grey’s Anatomy, ma al tempo stesso, grazie a un semplice e efficace stratagemma narrativo (il coinvolgimento, suo malgrado, del povero Wilfred, vicino di Nat e vero specchio del lettore), riesce a dare tutte le coordinate di un mondo fantastico ma anche stranamente familiare, oltre a disseminare alcuni indizi sulla protagonista e sul suo passato per sviluppare una trama di più lunga gittata. Il tratto chiaro e pulito di Andres Ponce conferisce un grado di realismo che ben si sposa con il tono del racconto: pur non abbondando di dettagli, l’artista riesce con il suo stile a realizzare creature sovrannaturali che mantengono la loro aura di magia ma che sono al tempo stesso credibili, quasi normalizzate. Tutto questo aumenta il senso di spaesamento iniziale del vedere elementi fantastici calati in un contesto molto umano, quello ospedaliero che coincide con fragilità tipicamente terrene. Anche la costruzione della tavola e le inquadrature sono pensate per dare la massima leggibilità alla vicenda senza per questo intaccarne la rapidità. Un primo numero che ha il sapore di un pilot televisivo: una storia di fatto autoconclusiva che serve a presentare un mondo e i suoi protagonisti, lasciando aperte alcune porte ma godibile anche a sè stante. Un pilot che però risulta vincente: pur attingendo a piene mani a tutti gli elementi tipici del genere medical e di quello fantasy, Scott e Ponce riescono a creare un prodotto solido e che spinge a voler vedere cosa altro succederà nel St. Lilith Hospital per entità paranormali. Emilio Cirri
Di seguito, le copertine delle altre novità.
Per questa puntata è tutto. Vi diamo appuntamento tra due settimane circa con First Issue #106. Stay tuned!
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